Cronaca locale

La storia di Marco, a cui due albanesi hanno occupato l'alloggio popolare

Nel quartiere di Vigne Nuove, alla periferia nord della Capitale, c'è un uomo che dorme "con un occhio aperto" da quando due albanesi gli hanno occupato l'alloggio popolare

La storia di Marco, a cui due albanesi hanno occupato l'alloggio popolare

Vigne Nuove è una landa di desolazione e cemento che si estende all’estrema periferia nord della Capitale. Nato negli anni Settanta per rispondere all’emergenza abitativa, si è presto trasformato in un quartiere dormitorio, dove approda chi riesce ad uscire dal limbo delle graduatorie e ottenere un alloggio popolare.

Ma la miseria, a Roma, è come una maledizione che non ti lascia andare. E dopo anni passati in attesa di una casa, vivendo di espedienti e sistemazioni precarie, ti ritrovi alla periferia della periferia, senza servizi, né collegamenti e con la paura che qualcuno possa forzare la serratura e impadronirsi di quello che hai conquistato.

Proprio come è successo a Marco (nome di fantasia), che nei palazzoni tinteggiarti con colori pastello di via Padre Damiano de Veuster c’è arrivato lo scorso gennaio. Il giorno in cui è entrato nel suo appartamentino lo racconta come una vincita al superenalotto: “Non ci potevo credere, era una cosa che pensavo irrealizzabile”. Era l’11 gennaio e la vita di Marco, dopo tante tribolazioni, sembrava finalmente destinata a cambiare.

“Nel 2012 – racconta – ho perso il lavoro ed ho iniziato a girovagare per la città senza una meta, non avevo più nulla”. Per ben due anni, quest’uomo, è sopravvissuto come un nomade, grazie alla generosità degli amici, ospitato di volta in volta in una casa o nell’altra. Nel 2014 è stanco e inizia pensare di farla è finita. “Volevo imbottirmi di farmaci ed andarmene, senza far rumore, come sono vissuto”, dice con gli occhi velati di malinconia. Poi succede qualcosa. L’incontro provvidenziale con un’assistente sociale che lo prende sotto la sua ala protettrice e lo aiuta a fare domanda per ottenere l’alloggio.

La casa arriva come un regalo di Natale consegnato in ritardo, ma non fuori tempo massimo, perché Marco ricomincia a fare progetti. Eppure il destino lo mette di nuovo alla prova e dopo poche settimane dall’assegnazione, nei giorni del trasloco, succede ancora qualcosa a scombinare i suoi piani. “Al posto della serratura – racconta – ho trovato un buco tappato con dell’ovatta, al di là della parete sentivo vociare, ho provato a bussare e suonare, ma non ha aperto nessuno”. Marco rimane in piedi sul pianerottolo, mentre fuori piove, è scioccato, non riesce a realizzare quello che gli sta capitando. Si allontana. Ricomincia a vagare. Solo qualche ora più tardi, nel pomeriggio, otterrà le risposte che cerca.

“Sono ritornato davanti alla porta di casa ed era comparsa una serratura ma – spiega – quando ho provato ad infilarci le chiavi mi sono accorto che non funzionavano”. Che fare? Mentre Marco, ancora stordito, ragiona sull’accaduto, ecco comparire una donna giovane, sulla trentina, che si avvicina alla porta. Lei ha le chiavi giuste. “Ho provato a chiedere spiegazioni – racconta lui – ma mi ha subito aggredito e minacciato di prendermi a calci se non me ne fossi andato, aveva un accento dell’est, diceva che la casa era sua e che ci viveva da tre anni”. Si scoprirà poi che la donna è di nazionalità albanese e che ha occupato abusivamente l’alloggio assieme al suo compagno, albanese anche lui. Ma questo Marco, che nel frattempo si è attaccato al telefono per dare l’allarme, ancora non lo sa.

La denuncia parte dalla stazione dei carabinieri di via Britannia, una copia viene anche consegnata all’Ater. Ma le operazioni di sgombero ad opera della polizia locale prendono il via solo due settimane più tardi, sollecitate dall’esponente leghista Fabrizio Santori che si è interessato alla storia di Marco. “In questi casi – ci spiega Santori – l’iter è lungo perché, spesso, gli alloggi sono oggetto di una vera e propria compravendita da parte degli assegnatari che li cedono a terzi e quella dell’occupazione è solo una truffa”. Nel caso di Marco, però, non è così. C’era anche lui il giorno in cui i caschi bianchi sono arrivati per liberare il suo appartamento. Ed ha di nuovo incontrato quella donna. “Era molto più tranquilla – ricorda – ed ha accettato di parlarmi, si è anche scusata e mi ha assicurato che passerà la voce in giro e che dirà che la casa è stata assegnata”.

Queste parole lo fanno riflettere: “Non so come fanno, né che sistema usano, ma sanno già quali sono le case libere per essere occupate, mi ha dato l’impressione che dietro ci sia una sorta di organizzazione”. Adesso che tutto è tornato alla normalità però Marco ammette di “dormire sempre con un occhio aperto”.

“Ci dovrebbe essere più tutela per chi ha diritto alla casa – dice – perché non si può vivere nell’incubo di trovarsela occupata all’improvviso”.

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