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Il "romanzo artistico" di Manzoni tra foto documenti, scritti e l'impronta del genio

Nessuna sua opera ma tutto il suo mondo nella mostra tratta dalla collezione di Guido Andrea Pautasso

Il "romanzo artistico" di Manzoni tra foto documenti, scritti e l'impronta del genio

Finalmente tutta la verità e nient'altro che la verità su Piero Manzoni, enfant prodige dell'arte italiana del Novecento la cui biografia stravagante ha spesso alimentato il mito del personaggio a discapito del peso specifico dell'intellettuale. «Piero Manzoni. Documenti dalla Collezione Pautasso», esposta in quattro sale della Biblioteca Statale di Cremona, da oggi e fino al 3 novembre, presenta le prove della grandezza dell'artista che nacque in zona, a Soncino, nel 1933 e che in appena 29 anni di vita riuscì a sparigliare la scena dell'arte italiana come pochi altri hanno fatto.

Con Piero Manzoni bisogna grattare bene sotto l'esuberanza di facciata per portare alla luce la sostanza, che è tanta, e va detto che non sempre le mostre che gli sono state dedicate in passato, anche nella sua Milano, sono riuscite nell'intento. Per scoprire il vero Manzoni serve rovistare nei documenti, tra le foto personali, e rileggere con attenzione i suoi scritti: è servita, grazie anche alla collaborazione con la Fondazione Piero Manzoni, animata dai fratelli dell'artista, e con l'Associazione Culturale Scintille, tutta la dedizione di Guido Andrea Pautasso, collezionista, studioso delle avanguardie del Novecento «e appassionato di anticonformisti un po' maledetti».

Insieme a Irene Stucchi, Pautasso cura a Cremona una mostra su Piero Manzoni che non presenta neanche una sua opera, eppure riesce nel miracolo di definire una volta per tutte l'artista per quel viscerale sperimentatore e geniale precursore dell'arte concettuale che fu. Niente scatolette di merda d'artista, viste e riviste mille volte, niente michette bianche a mo' di quadri, nessuna scultura bizzarra né tanto meno disegni: qui s'interpellano i documenti che Pautasso ha meticolosamente collezionato negli anni, «a cominciare da un catalogo della mostra Le Linee del Gruppo Azimut, che si tenne a Milano nel dicembre del '59, e che dallo stesso artista venne donata a mio padre, finendo ora nella mia collezione personale».

Cominciano a parlarci di Piero Manzoni l'atto di nascita e la carta d'identità, prestati dalla famiglia insieme ad altre foto personali: raccontano del figlio brillante del conte Egisto, che da Soncino crebbe poi a Milano e che fu liceale al Leone XIII con Nanni Balestrini e Vanni Scheiwiller come compagni di scuola, dove militava nel gruppo degli studenti liberali, fin da subito irriverente e allergico alle istituzioni paludate.

Radicale Manzoni lo è stato fin da subito, e assai disincantato: «Era uno spirito curioso, un viaggiatore interessato a tutto. Tuttavia, negli anni in cui andava di moda l'intellettuale engagé alla Vittorini, Piero Manzoni non si prendeva troppo sul serio. Lo vediamo nei suoi primi scritti giovanili esposti in mostra: aborriva ogni forma di prosopopea», racconta Pautasso. Pare allora incredibile, a noi che osserviamo la sua fulminea parabola esistenziale e creativa, come in poco più di cinque anni di attività Manzoni sia riuscito a contaminare l'arte italiana mescolando le intuizioni di Lucio Fontana ed Enrico Baj, attraversando l'arte nucleare per approdare a mille altre forme di espressione in cui performance, opera concettuale e sperimentazione su materiali sempre nuovi creano uno stile originale, in tutto e per tutto manzoniano.

Riesce a mangiarsi le uova che portano l'impronta del suo pollice e a firmare i corpi di modelle e di persone comuni trasformandole in opere d'arte senza apparire ridicolo, seduce la scena artistica europea come pochi al suo tempo, anticipa con l'uso di materiali insoliti tutto ciò che farà l'Arte Povera: Manzoni brucia le tappe, sembra quasi che sappia di non avere troppo tempo a disposizione (un infarto improvviso se lo porterà via prima dei 30 anni). Leggendo i suoi scritti, a cominciare dal suo primo manifesto del '57 intitolato Per la scoperta di una zona di immagini, fino all'ultimo testo dattiloscritto, emerge l'adorabile figura di «un anarchico individualista in giacca e cravatta, un aristocratico dalla mente leonardesca, dotato del gusto sottile per l'ironia», dice Guido Pautasso. Manzoni è stato capito e amato più all'estero che a casa sua, e non stupisce che parte di questa mostra cremonese sia già stata esposta con successo nel 2019 nelle sedi di Los Angeles e New York di Hauser & Wirth, la corazzata delle gallerie d'arte.

Sperimentatore indomito, è risultato indigesto a molti critici suoi contemporanei, eppure tra la metà degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, ha rivoluzionato la scena dell'arte con gesti spiazzanti che troppo a lungo abbiamo definito provocazioni e che invece questa mostra documenta come consapevoli tappe di un percorso artistico che chissà dove lo avrebbe condotto. «La sua eccezionale creatività - dice Pautasso - gli ha fatto vivere l'arte in modo originale. Le sue opere oggi sono catalogabili come idee e non come oggetti, vanno oltre la pittura e la scultura in senso stretto. Manzoni è stato il primo dei concettuali».

Commuove l'ultimo dattiloscritto, ora esposto alla Biblioteca Statale di Cremona: datato 1963, quindi di pochi mesi prima della

morte, è un testo martoriato da correzioni in verde. In una paginetta asciutta, Manzoni racconta Manzoni: tra le righe di questa autopresentazione si legge, neanche troppo velata, tutta la consapevolezza del proprio valore.

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