La ronda vi pare rozza? Cambiatele nome (e mettetele il cachemire)

Caro direttore,
come sempre il suo giornale è attento ai problemi della gente e l’articolo di Brambilla è quanto mai indovinato. È vero si tratta anche di linguaggio, di forma, di ciò in cui sono tanto bravi i democratici e progressisti del niente. Feci un bel viaggio con la mia «sciura» nel New England. Abbiamo attraversato in auto decine di paesini del Massachusetts, del Vermont e del New Hampshire a 30 all’ora. A quella velocità si ha tutto il tempo di guardarsi in giro e di vedere. In tutti questi villaggi c’erano grandi cartelli «Neighbour Watching» con disegnato un grande occhio. Si tratta di «Sorveglianza del Vicinato», io sorveglio la tua casa, tu la mia, e magari, oltre che a socializzare si evitano villette svaligiate. Una civilissima abitudine della civilissima New England. Perché non da noi? Le ronde fanno parte di questa mentalità di mutuo soccorso, di solidarietà, di sentirsi parte di una comunità. I poliziotti non possono essere sempre dappertutto. È inutile inasprire le pene, le uniche pene inasprite sono quelle delle povere donne aggredite e di noi esterrefatti cittadini che siamo travolti da uno tsunami di notizie orrende. La ronda e la «Sorveglianza del Vicinato» hanno il compito primario di scoraggiare e prevenire il crimine, non quello di reprimere. Nessuno di noi vuole circolare con la Colt e la stella da sceriffo. Purtroppo i buoni e solidali democratici e progressisti farfugliano di queste idiozie. Sento alla radio il Minniti, ministro ombra, che invoca maggiori mezzi e maggiore efficienza per la polizia. Ma non erano quelli che volevano disarmarla? Nel prosieguo della trasmissione l’ombra del ministro dice che la maggior parte delle violenze avvengono tra le mura domestiche. Oplà la frittata è girata. Si parla di aggressioni per strada non di problemi familiari, ma quelli che adesso sono nell’ombra menano il torrone della tolleranza, leggi impunità... Ma lasciamo la minoranza nella sua sempre più esigua minorità e occupiamoci fattivamente dei problemi della gente. Dateci una mano voi del Giornale.


Ci proviamo, caro Rancati. Ma è sempre difficile lottare contro la forza del conformismo linguistico. Un altro fedele lettore, Roberto Pepe, mi ricorda che la «buonanima» di Veltroni, quand’era sindaco di Roma, non potendo sopportare il «giardino zoologico» (si capisce: lo zoo è un lager per gli animali) non trovò di meglio che cambiargli nome. Lo ribattezzò «Bio-parco» e quello, pur rimanendo in pratica lo stesso, diventò immediatamente eco-compatibile. Ma vi pare? Questi ci fregano con l’uso delle parole. Parlano di «ronde» e subito, nell’espressione, evocano «razzismo», «xenofobia», «apartheid», «Ku Klux Klan». Poi vai a scoprire, come sta raccontando in questi giorni il «Giornale», che forme di vigilanza volontaria cittadina vengono usate anche da buona parte dei sindaci di sinistra, da quello di Vicenza a quello di Bari, fino al primo cittadino della pacifica (per antonomasia) città di Assisi.

Perché se si propone di portare quest’esperienza sul piano nazionale scatta l’allarme democratico? Perché se la stessa iniziativa viene proposta dalla Lega è «rozza e incivile» e se invece la propone Michele Serra su «Repubblica» diventa un segno distintivo di partecipazione civile? Che cos’è che non va? Il fazzoletto verde? E allora via: facciamo le ronde in cachemire e chiamiamoli «neighbour watching», come dice lei. We can. E sarà subito chic.

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