Politica

«Le ronde mi hanno convinto ecco perché ora voto Carroccio»

Luciano, barbiere veneto, racconta: «I lumbard hanno reso il mio rione più sicuro, altro che protesta»

Qualche domanda ad un elettore leghista, di nome Luciano, residente in provincia di Padova, di professione barbiere, all'indomani del voto politico.
Da quanto voti Lega, Luciano?
«Da due elezioni a questa parte».
Prima che cosa votavi?
«Praticamente li ho votati tutti».
Che cosa ti ha portato a «fermarti» sulla Lega?
«Mio padre, anzi la morte di mio padre».
E cioè?
«Mio padre ha riparato scarpe per una vita, fino a comprare una casa per noi e una bottega per lui. Ha sistemato noi figli che siamo quattro, poi è andato in pensione, con un sussidio da fame che bastava appena a mantenere lui e mia madre. Per fortuna aveva il negozio; l'ha affittato a una ditta di generi elementari. I primi due anni tutto bene, poi il quartiere è andato in mano ai clandestini; il negozio ha subito tre furti nel giro di un anno: il negozio ha chiuso baracca, salami e burattini. E mio padre non è riuscito più a trovare un inquilino. La mattina si svegliava e trovava sulle serrande valanghe di piscio e di vomito; la sera si richiudeva in casa con mia madre a guardare la tv, ma teneva il volume basso per cercare di cogliere i rumori dei ladri. Certe sere mia madre piangeva perché non riusciva a sentire quello che dicevano nel programma. Pensava persino di essere diventata sorda, poveretta. Poi si sono ammalati entrambi, mia madre se l'è portata via un brutto male, e mio padre è morto l'anno scorso davanti alla tv. Mio fratello, che è entrato per primo, ha detto che stava guardando un cartone animato. Forse perché lì, per capire quello che succede, non serve il sonoro».
E poi nel quartiere che cosa è successo?
«Qualcuno si è organizzato e ha cominciato a fare le ronde. All'inizio mi sembrava una cavolata; ho pensato ai soliti quattro politici di turno che per beccare qualche voto in più, fanno finta di stare in mezzo alla gente e di andare incontro ai suoi bisogni. E invece quelli non mollavano. Tutte le benedette sere un gruppo che variava tra le sette e le dieci persone girava casa per casa, palazzina per palazzina a controllare».
Ma c'è stato un miglioramento?
«Sì; anche se negli ultimi tempi ad avere paura di noi sono più i carabinieri che i delinquenti...».
Non vorrai mica dirmi che per merito delle ronde il vostro quartiere è diventato bello e lindo come «La casa sulla prateria»...
«No, ci mancherebbe; però è tornato ad essere nostro. Vedi, è proprio questo il punto che nessuno di voi capisce; chi è nella e della Lega non ha paura di usare il verbo difendere, proteggere. In fin dei conti il federalismo è proprio questo: la difesa di una ricchezza individuale che moltiplicata per mille, diventa la ricchezza di un popolo, e che deve poi essere ridistribuita dentro le mura di quella stessa famiglia».
... ammazza, Luciano, dove l'hai letta questa? Nel libro di Tremonti?
«Non so dove l'ho letta, ma Tremonti è il migliore. È uno dei nostri, anche se sta con gli alleati. A proposito di leghisti gretti ed ignoranti; di leghisti che ce l'hanno duro ma molle quando si parla del loro cervello, il suo ultimo libro l'ho letto d'un fiato: dice all'incirca le stesse cose che ti ho detto io; per fare girare un'economia bisogna difendere chi la crea da chi vuole derubarla; l'economia è come il ramo ultimo dell'albero; ha tanti fiori e tanti foglie in proporzione alla forza delle sue radici».
Tremonti non è così poetico...
«Non mi toccare Tremonti che se no m'incazzo».
No, per carità, poi finisce che ti agiti e tagli un orecchio al cliente. Tu mi hai appena parlato del federalismo come di un progetto culturale e umano; dunque sei tra quelli che sostengono che tutti i voti dati alla Lega non sono solo una forma di protesta, ma una adesione convinta ad una classe dirigente e al suo programma?
«Senti; 'sta storia che la gente vota Lega solo per protesta è una minchiata pazzesca, per dirla alla siciliana. Noi siamo entrati attraverso la porta della protesta, (come abbiamo fatto due giorni fa in Emilia Romagna), ma poi in casa abbiamo dimostrato di saper pulire, rinnovare, costruire. Mi spieghi perché nelle città e nelle province in cui noi siamo al potere, duriamo da una vita?».
E anche molto bravi a comunicare, a cavalcare il disagio: in una rete privata ho visto un operaio che veniva fuori dalla pancia di una macchina e tutto unto di grasso diceva dritto alla telecamera, in dialetto: «Mì voto Lega. Vota cussì anca ti».
«Sei fuori strada, ragazzo mio. Puoi dire di tutto ma non che noi siamo appoggiati dalla comunicazione: giornali, tv e mondo dello spettacolo stanno con gli altri, non con noi. Non abbiamo calciatori di riferimento, scrittori, registi, comici, cantanti, presentatori di riferimento».
Avete Miss Padania... ci sei mai andato?».
«Magari; mia moglie è gelosa».
Gelose le femmine padane, vero, Luciano?
«Mona, è di Reggio Calabria».
Farete qualche agguato a Berlusconi?
«No, c'è Tremonti che garantisce per lui».
E se non ci fosse San Tremonti, vi fidereste lo stesso?
«Berlusconi è cresciuto negli ultimi anni; ha capito che l'Italia la portano avanti i barbieri, gli operai, e i piccoli imprenditori, che poi altro non sono che nella maggior parte dei casi, ex dipendenti. Ha capito che la Lega non è razzismo; anzi, la Lega è colei che, se ascoltata, ti ferma un attimo prima di cadere nel burrone del razzismo. La Lega è come un termometro; segna il livello della febbre e l'urgenza della medicina».
E com'è il livello della febbre, Luciano?
«Da cavallo. Altissima.

Così alta che i nostri vecchi hanno perso l'udito e passano la notte a guardare cartoni animati muti».

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