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Da Rose Villain a Lauro, più che il "Concertone" ora è il Festivalbar. Così è cambiato l'evento dei sindacati

Tutto si rinnova. Qualcosa persino troppo

Da Rose Villain a Lauro, più che il "Concertone" ora è il Festivalbar. Così è cambiato l'evento dei sindacati

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Da Rose Villain a Lauro, più che il "Concertone" ora è il Festivalbar. Così è cambiato l'evento dei sindacati

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Tutto si rinnova. Qualcosa persino troppo. Il primo maggio andrà in scena il tradizionale Concertone voluto da Cgil Cisl e Uil che quest'anno per la prima volta si trasferisce da Piazza San Giovanni al Circo Massimo di Roma. Mega diretta Raitre praticamente ininterrotta dalle 15,15 alle 24, affluenza rigorosamente variabile (organizzatori e forze dell'ordine danno sempre cifre diverse) e ampio dispiego di consenso intellettuale, specialmente dalle zone più chic della sinistra. Un appuntamento persino confortevole nei modi e nei rituali all'apparenza anti governativi soprattutto quando al governo c'è la parte politica che non piace ai sindacati organizzatori. E la scelta del cast era fatta proprio per realizzare la ragione sociale di un evento «di protesta» e di sensibilizzazione, sganciato dalle logiche della classifica o, si direbbe oggi, dello streaming. Ci sta, la produzione è imponente e il livello musicale è stato spesso molto alto, con la partecipazione di ospiti internazionali di livello totale come B.B. King o Robert Plant o Lou Reed.

Però nel corso degli anni la forza ideale o ideologica del Concertone si è annacquata, perdendo per strada gran parte della propria intensità. Oggi il Concertone è un gigantesco concerto pop, una sorta di finale del Festivalbar, una passerella di tanti artisti spesso di assoluto rilievo ma sempre più spesso distanti da quello che è stato per decenni l'«immaginario» del Concertone. Tanto per capirci, quest'anno presentano Noemi ed Ermal Meta e si esibiranno Achille Lauro (bentornato) e una valanga di artisti da Big Mama (che conduce una sorta di Pre Concertone) passando per Colapesce e Dimartino, Roise Villain, Cosmo, Dargen D'Amico, Ditonellapiaga, Leo Gassmann, Morgan, Mahmood (per la prima volta), Piero Pelù (per l'ennesima volta), Piotta, Santi Francesi, Tananai, Ultimo fino alla migliore band italiana ossia i Negramaro. Insomma una passerella di bella musica ma, almeno sulla carta, mediamente poco «impegnata» se per impegno si intendono lo schieramento frontale e la battaglia politica che per decenni sono stati la spina dorsale di questo evento. Ossia la musica al servizio dell'impegno. Più che un concertone per i diritti sembra il Festivalbar. Per carità, come sempre potrebbero nascere polemiche e temi, specialmente social, che diventeranno virali. Ma lo slancio politico, il furore rivoluzionario sono evidentemente assopiti, come si capisce anche dallo slogan «Costruiamo insieme un'Europa di pace, lavoro e giustizia sociale», che è tanto bello quanto vago, e dal concept che è «Ascoltiamo il futuro», onestamente applicabile a quasi tutto, dalle convention di assicuratori alle riunioni di condominio. In linea con quanto accade nel pop in generale, i contenuti si sono svuotati quantomeno di quella carica - condivisibile o meno - che era di rottura o presunta tale. Proviamo a capirci. Nella seconda edizione del Concertone, anno 1991, conduttore Vincenzo Mollica (sempre sia lodato), nel cast c'erano, tra gli altri, Vecchioni, Finardi, Nuova Compagnia di canto Popolare, Mauro Pagani, Tazenda, Timoria e Litfiba. I Gang, molto politicizzati al limite del combat rock, salgono sul palco leggendo un proclama in cui invitano allo sciopero generale contro il governo Andreotti ed eseguono il brano Socialdemocrazia, la Rai si arrabbia e penalizza anche Elio e Le Storie Tese che volevano denunciare la corruzione della classe politica. Poi il colpo di scena più grande. Dopo il brano Gioconda, Piero Pelù dei Litfiba attacca l'allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti e la Rai sfuma immediatamente tutto, censura immediata, roba che i telespettatori a casa rimasero allibiti (me compreso). La polemica è durata settimane.

Insomma un clima molto diverso da quello di oggi. È cambiato tutto, certamente. Ma di sicuro non mancano motivi o pretesti per fare polemica. Oggi il «focus» è più sui diritti civili che sulla linea politica e dal «combat pop» si è passati più che altro al pop e basta. Niente di che, sia chiaro. Ma lo spirito è cambiato e lo conferma anche il direttore artistico Massimo Bonelli che l'altro giorno, durante la conferenza stampa, ha detto: «Io al Festival di Sanremo? Se vogliono sono qua, a me piacerebbe rifondare Sanremo Giovani».

Una battuta che accorcia ancor di più le distanze tra il Concertone e tutto il resto, tra la musica cosiddetta «impegnata» e il pop che lo è molto meno, tra gli eventi sindacali e la borghese, godibile, gioiosa musica leggera.

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