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Rossi ma bruni. Gli opposti coincidono. I nemici comuni? Società aperta e mercato

Torna il mito dello Stato interventista che piace tanto alla sinistra ma anche alla Destra sociale

Rossi ma bruni. Gli opposti coincidono. I nemici comuni? Società aperta e mercato

Tra le categorie politiche più suggestive e al tempo stesso difficilmente realizzabili quando dalla teoria si passa alla pratica c'è senza dubbio quella del rossobrunismo. Complesso dare una definizione precisa del concetto di rossobruni, di certo si tratta di una convergenza tra mondi all'apparenza distanti e antitetici come destra e sinistra che, teorizzato un superamento delle tradizionali categorie, si ritrovano su un terreno comune. La critica al capitalismo e alla globalizzazione rappresentano due elementi cardine dei rossobruni intesi come chi manifesta simpatie verso idee e personalità apparentemente distanti dalla propria radice ideologica. Tra le figure più note e considerate un riferimento dai rossobruni ci sono Eduard Limonov e Alain De Benoist che teorizza un superamento dei concetti di destra e sinistra con l'unione delle forze populiste contro le élite. Guillaume Faye ideò il Gruppo di Ricerca e Studio per la Civiltà Europea (G.R.E.C.E.) teorizzando un «gramscismo di destra» e la necessità di nuove categorie: «la nostra società non è più ispirata dal rinnovamento della sua ideologia. Questa ideologia è oggi al suo culmine e quindi all'inizio del tramonto, le idee morte sono diventate canoni morali, sistemi di abitudini, tabù ideologici, che non entusiasmano più». Proprio in Francia alle presidenziali del 2017 Marine Le Pen chiese ai sostenitori di Mélenchon di votarla per contrastare gli europeisti di Macron.

Se non tutti i tentativi di una visione comune tra destra e sinistra si possono ascrivere alla categoria di rossobrunismo che ha proprie specificità, va detto che la storia della destra italiana è costellata da «sfondamenti a sinistra», in particolare sui temi sociali ed economici.

Il caso più celebre rimane senza dubbio quello di Pino Rauti che teorizzò lo sfondamento a sinistra del Msi venendo eletto segretario del partito nel 1990 a capo della corrente Andare oltre e cancellando la dicitura «destra nazionale» cara ad Almirante. Si tratta di una convergenza non solo sui temi economici ma anche in politica estera dove l'antiamericanismo ha rappresentato un collante duro a morire.

La crisi della sinistra con l'abbandono di alcune sue istanze tradizionali, non significa che la destra debba appiattirsi su posizioni che escludono sensibilità liberali e conservatrici. Un ragionamento che vale in modo speculare anche per la sinistra come testimonia il libro dell'ex leader del partito tedesco Die Linke Sahra Wagenknecht intitolato Contro la sinistra neoliberale in cui l'autrice se la prende contro una «sinistra alla moda» ispirata «ai dogmi del cosmopolitismo, del globalismo, dell'europeismo, del multiculturalismo, dell'ambientalismo, dell'identitarismo e del politicamente corretto». Non è un caso che, secondo un recente sondaggio, in Germania un ipotetico nuovo partito guidato dalla Wagenknecht potrebbe superare il 10% intercettando numerosi voti non solo da Die Linke ma anche dall'Afd, partito considerato di estrema destra ma con una forte vocazione sociale sui temi economici.

Si tratterebbe dell'ennesima conferma di una tendenza che ha avuto un'accelerazione dopo la grande crisi del 2008 e in particolare dal 2011 con un progressivo avvicinamento tra istanze tradizionalmente di sinistra e altre più vicine alle destra. La critica alla globalizzazione, il fallimento delle delocalizzazioni, la crisi dell'industria in Occidente con la perdita di milioni di posti di lavoro, hanno portato a vedere nello Stato la panacea di tutti i mali favorendo un modello sempre più interventista del pubblico. Se ciò può andar bene nei settori strategici come le forze armate, la difesa dei confini, la salvaguardia dei settori strategici, diventa problematico quando lo Stato interviene colpendo le libertà individuali (periodo del Covid docet), limitando il libero mercato (cosa diversa da regolamentare) o introducendo nuove tasse.

La stagione sovranista ha rappresentato un esempio perfetto di superamento delle tradizionali categorie, non a caso si è parlato anche di un sovranismo di sinistra e la convergenza con forze populiste (come testimonia l'esperienza del governo giallo-verde) è stata resa possibile anche grazie a un terreno comune in vari ambiti di azione.

In verità, già nel 1994, Anthony Giddens nel suo libro Oltre la destra e la sinistra sosteneva la necessità di una politica che superi le tradizionali categorie ma, secondo il sociologo inglese, occorreva prendere dal conservatorismo filosofico alcuni principi di base (protezione, conservazione, solidarietà) mettendoli al servizio di obiettivi appartenenti al patrimonio tradizionale della sinistra: la liberazione, l'emancipazione, l'uguaglianza. Il dialogo tra destra e sinistra non è per forza qualcosa di negativo, ben venga anzi un confronto tra conservatori e progressisti, il punto è tra quale destra e quale sinistra e soprattutto a quali risultati porta.

La convergenza tra alcune misure economiche del governo spagnolo di Sanchez e quello italiano di centrodestra (per esempio la tassazione degli extraprofitti) testimoniano come oggi siamo entrati in una nuova fase di interventismo dello Stato e limitazione del mercato che accomuna le forze di sinistra con quelle di destra. Si tratta di punti di incontro che potrebbero emergere anche sul salario minimo e su misure che, in nome della giustizia sociale, si allontanano da un approccio più liberale e conservatore, lo stesso dicasi per gli investimenti pubblici in settori non strategici che stanno tornando sempre di più in auge.

Il rischio di politiche economiche troppo sbilanciate verso la destra sociale è quello di discostarsi non solo da una visione liberale ma anche conservatrice di cui oggi invece c'è quanto mai bisogno.

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