Rossi fa il difensore: «Proteggeremo la nazionale»

«Mai pensato di cacciare Lippi. E chissà che il calcio italiano dia sul campo un segno di rinnovamento e bonifica dal male che lo attraversa»

Riccardo Signori

nostro inviato a Firenze

Guido Rossi sembra appena sbarcato da un viaggio a L’Havana anziché dall’Eurostar proveniente da Milano. Un turista più che un commissario menafendenti. Abito di un chiarore abbagliante, cravatta fantasiosa, manca soltanto il cappellone di paglia. Sembra un bambino felice, nessuna parentela con il professore che sa mettere al muro mezzo mondo. Tutto per merito di una maglia, maglia azzurra numero dieci, che poi sarebbe quella di Totti, messa fra le sue mani da Fabio Cannavaro, fino a prova contraria capitano di questa nazionale destinata a navigare nelle paludi di uno scandalo. Cerimonia officiata durante il pranzo rituale. Come a dire: ecco, veda un po’ l’effetto che fa? Ora anche lei è dei nostri. Un’idea che, di questi tempi, non è proprio fra le migliori. Ma tanto è bastato per sciogliere il professore, venuto a districarsi fra dubbi e incertezze, schemi giudirici più che schemi tecnici. Oppure tanto è bastato per regalargli la sponda giusta: c’è da mandare un’Italia al mondiale, bisogna proteggerla più che bastonarla. Ci sono personaggi a rischio, ma innocenti fino a prova contraria. Guido Rossi lo ha detto subito e a tutti: «Daremo il massimo di collaborazione e per quanto possibile il massimo di protezione a questa squadra. Lo farò per quanto ne sono capace. E chissà che il calcio italiano dia, sul campo, un segno di rinnovamento e bonifica totale del male che lo ha attraversato». Ed è forse questa l’interpretazione che preferisce il tifoso vero: risorgere sul campo e così sia.
Chi conosceva il commissario, o l’ha visto all’opera in altre situazioni, ha stropicciato gli occhi: ma è lui o la sua controfigura? Tanto il professore s’industriava all’essere gioviale guizzando fra domande e problemi ora con durezza, ora con atteggiamento più soft, ma senza mai rompere un’atmosfera tesa. Bastava guardare le facce di Lippi e Petrucci per annusare l’aria, quello stare sull’attenti un po’ di tutti, perfino dei giornalisti impegnati a puntare il cannone. Per esempio sul problema delle regole, che il professore ha sollevato e Berlusconi contestato. A quel punto la risposta è stata meno benevola, anzi seccata. «Ho sentito che una serie di persone mi ha criticato sulla storia delle regole. Bene, le regole ci sono ma la critica viene da chi aveva potere di applicarle e non lo ha fatto». Cita Pindaro: «Più fini le vie del silenzio». E riprende: «Ci sono due vie parallele: giustizia ordinaria e giustizia sportiva. Le regole ci sono, ma qualcuna è difettosa. Significa che manca la regola per farle applicare. E chi parla diversamente dice sciocchezze».
Ne ha pure per Beckenbauer, il presidente del comitato organizzatore dei campionati del mondo. Aveva detto: «Pagherete tutto al mondiale». Merita ugual moneta. «Non mi aspettavo queste dichiarazioni da una persona seria come Beckenbauer. Nel suo ruolo ha sbagliato, nessuno in Italia avrebbe detto le stesse parole». Ma l’Italia oggi è debole più che mai e Lippi, il suo ct, ancor di più. Perché non lasciarlo a casa? Un dubbio che ha attraversato tutta la penisola calcistica. E non solo. Il commissario ha cercato (cercato, appunto) di cancellare ogni diffidenza: «Mai avuto alcun dubbio. Contrariamente a quanto si dice a mio danno, non sono un giustizialista. Sono un garantista. Sarebbe stata presunzione, una follia totale individuare un colpevole che non c’è, per dimenticare i veri colpevoli che vanno puniti».
Ed allora il professore ha cominciato ad impostare la difesa a tutto campo: dalle malelingue al conflitto di interessi. «Questa squadra era ed è considerata fra le più forti. La concorrenza sarà spietata e farà brutti scherzi, approfittando di voci e insinuazioni per metterla a disagio. Ma noi interverremo: nei prossimi giorni sarà il compito a cui mi dedicherò. Far capire la verità è faticoso e talvolta una perdita di tempo: dipende dalla buona o cattiva fede dell’intervento contrario». Poi c’è il tormento di Lippi e quel conflitto di interesse innescato dall’attività del figlio. Il professore stavolta parte da se stesso, che nei tempi passati fu nel consiglio d’amministrazione dell’Inter, ed apre l’ombrello per tutti. «Il conflitto di interesse è uno di quegli istituti di diritto che ha la possibilità di essere controllato nei fatti. In quel caso va punito, altrimenti se ne può parlare ma non conta finché non ci siano prove vere. Accusano anche me di essere in conflitto di interesse. Dunque ci vorranno prove vere per Lippi e il figlio». E qui si chiude l’arringa difensiva del professor Rossi e torna a spuntare il fanciullino tifoso del calcio.

Prende in mano la maglia numero dieci, la mostra, dice che le sue figlie litigheranno per averla. «I giocatori sono stati di una straordinaria cortesia». E giura fiducia e convinzione in questa squadra. Di più non può fare. Per ora.

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