«Rottamare l’edilizia post bellica per salvarsi da crisi e nuovi crolli»

Ci sono milioni di case a rischio in Italia, dove il cemento è mescolato con il filo spinato, oppure con le reti da pollaio. Case vecchie, costruite nel Dopoguerra e non antisismiche. Che vanno rottamate, come le automobili o gli elettrodomestici. Il professor Aldo Loris Rossi, docente alla facoltà di architettura dell’Università Federico II di Napoli, lo propone da un decennio.
Professore è stato un grido inascoltato?
«Purtroppo sì. E la mia proposta viene rispolverata dopo ogni tragedia. I terremoti mettono in evidenza la fragilità del patrimonio edilizio. Ma dopo il primo impatto emotivo tutto cade nel dimenticatoio».
Pensa che succeda anche questa volta?
«Questa volta sono fiducioso perché il presidente Berlusconi è più sensibile a questi problemi dell’edilizia di altri e ha capito che questa rottamazione potrebbe dare molto ossigeno all’economia».
Ma cosa intende per rottamazione?
«Dobbiamo mandare al macero la spazzatura edilizia post bellica priva di qualità e non antisismica. Gli edifici vanno buttati giù e ricostruiti con criteri moderni».
In che ordine di numeri siamo?
«Ci sono 30 milioni di vani nei centri storici intoccabili perché rappresentano l’identità culturale italiana: 3000 anni di storia».
E questi non si toccano.
«Vanno salvaguardati integralmente, restaurati, senza sopraelevazioni, perché sono unici e irriproducibili. Però ne restano altri 90 milioni. E 45 milioni sono stati costruiti tra il ’45 e il ’75».
Tutti fuori norma?
«Praticamente sì. Se si rottamasse almeno la metà, cioè venti milioni di vani, ci sarebbe una grande spinta economica».
In che regioni interverrebbe prima?
«Man mano che si scende verso il sud, l’emergenza del Dopoguerra ha fatto cose terrificanti. Ho visto reti di pollaio dentro il cemento. O tubi di ferro ridotti a sola ruggine. Insomma, le case del primo decennio post-bellico vanno prese con le pinze».
E quelle dopo il ’74?
«Negli ultimi 30 anni tutta l’edilizia costruita in generale è teoricamente antisismica».
Come selezionare i palazzi da scartare?
«Bisogna fare una carta di identità degli edifici, schedarli come in molti Paesi d’Europa e in Giappone. L’ordine nazionale con architetti e ingegneri aveva iniziato questo lavoro sei-sette anni fa».
E perché vi siete fermati?
«I Comuni, Molise e Abruzzo compresi, si sono tirati indietro, hanno sabotato l’idea».
Perché?
«Se un edificio viene schedato come scadente perde valore commerciale».
E come si convince a rottamare?
«Offrendo incentivi fino al 35% della volumetria. A Roma c’è un progetto pilota dove si concedono parcheggi interrati in deroga, uffici e vani commerciali».
Lei ha un’esperienza in Irpinia.

Che consigli darebbe per la ricostruzione in Abruzzo?
«I tempi delle nuove costruzioni saranno lunghi, almeno 2 o 3 anni. Ma c’è un modo per attivare la ricostruzione in fretta».
Come?
«Facendo ripartire la costruzione di case sparse, che all’Aquila sono un terzo, con il 30-35% di incentivi della volumetria».

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