MilanoPatapùnfete. Se mai ce ne fosse stato bisogno, ad alzare la tensione sullapertura del processo a Silvio Berlusconi per il «Rubygate» - fissata per questa mattina, davanti alla quarta sezione del tribunale milanese - fa irruzione sulla scena un pasticcio mai visto in tanti anni di scontri tra politica e magistratura. Una manciata di ore prima delludienza, il Corriere della Sera pubblica tre telefonate intercettate dalla Procura milanese sui telefonini di tre giovani donne coinvolte nellinchiesta Ruby. Peccato che dallaltra parte del filo ci fosse un parlamentare, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, le cui conversazioni telefoniche sono protette dallimmunità. Ciò nonostante, le tre conversazioni vengono depositate agli atti, come quelle di un comune cittadino. Il Corriere le scova e le sbatte in prima pagina.
«Non ho niente da dichiarare», è lunica reazione di Edmondo Bruti Liberati, procuratore della Repubblica di Milano, ai cronisti che cingono dassedio il suo ufficio per capire come sia accaduto limpensabile. «Sto cercando di ricostruire». E quando avrete ricostruito ci direte qualcosa? «No». Bruti, che è un uomo abituato a fronteggiare i mass media anche nei passaggi più difficili, ieri appare scuro in volto, quasi imbarazzato. Come se - per dirla semplicemente - non sapesse che pesci pigliare.
La Procura ha due strade di fronte. La prima: sostenere che le tre telefonate sono finite lì per sbaglio, un mero svarione materiale, oggettivamente clamoroso nei risultati ma comprensibile nella gestione di un materiale sterminato (tra le quarantamila e le sessantamila pagine) come quello dellultima inchiesta a carico del premier. La seconda: difendere il proprio operato, e in qualche modo rivendicarlo, sostenendo che in realtà la normativa attuale non impedisce la trascrizione delle conversazioni dei parlamentari, se vi si incappa intercettando qualcun altro. Lunico obbligo, secondo questa tesi, sarebbe quello di chiedere lautorizzazione alla Camera di appartenenza se si intende utilizzare la conversazione come prova del processo.
Secondo quanto sembra di capire, la linea difensiva della Procura sembra destinata ad essere questultima. Nessuno sbaglio, insomma, abbiamo agito secondo la legge. Il quadro normativo è, in effetti, abbastanza confuso perché vi possano trovare cittadinanza opinioni diverse. Ma restano alcune incongruenze difficilmente superabili. Come il fatto che storicamente, in tutti gli altri casi analoghi, la Procura si è ben guardata dal depositare senza complimenti le telefonate di un parlamentare: per esempio quelle di Massimo DAlema, ascoltato mentre si intercettava Giovanni Consorte di Unipol. O come il fatto che proprio Edmondo Bruti Liberati, parlando delle intercettazioni «casuali» di Berlusconi in questa indagine, avesse detto che non era intenzione della Procura chiederne la trascrizione.
Un pasticcio, insomma, di cui è allo stato impervio afferrare il senso. E a complicare ulteriormente la comprensione cè la lettura delle tre telefonate di Berlusconi pubblicate dal Corriere: una con una indagata, la consigliere regionale Nicole Minetti, due con altrettante ragazze passate per le feste di Arcore, e citate come testimoni nel processo che inizia oggi. Da tutte e tre le telefonate, il Cavaliere e la sua linea difensiva escono intatti. E questo rende ancora più inspiegabile perché delle decine e decine di conversazioni del presidente del Consiglio ascoltate durante linchiesta, proprio queste tre siano state allegate agli atti.
In attesa di spiegazioni, resta da chiedersi quale saranno le conseguenze concrete della faccenda. Nessun danno dovrebbe subirne il processo che si apre oggi: se anche si stabilisse che le telefonate del parlamentare Berlusconi sono state trascritte e depositate in violazione dei diritti di questultimo, la violazione non causerebbe alcuna nullità degli atti di indagine né di quelli processuali compiuti dai pm milanesi.
Ruby, via al processo con un colpo basso
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