RomaSarà perché il sole estivo splende sulla Cecchignola piena di ragazze e ragazzi senza divisa, ma quelle grandi tende mimetiche geometricamente allineate su unenorme prateria suburbana assomigliano più a un allegro campeggio che a un lugubre accampamento militare. E in fondo è così. Nella grande città militare sulla Laurentina, alla periferia sud della capitale, è il giorno dei militari per tre settimane: i giovani che hanno partecipato a «Vivi le Forza armate», nome ufficiale della mini-naja, larruolamento breve che sembra uno stage. Lo hanno fatto nellultimo anno in tutta Italia e in tutte le armi, e sono stati invitati a Roma per il 2 giugno: giovedì hanno assistito alla parata, compunti ed emozionati, laltra notte hanno dormito dentro le tende dellarea Bonivento allestita per loro, ieri si sono alzati presto per assistere allalzabandiera. Poi lincontro con il ministro della Difesa Ignazio La Russa, uno spettacolo e, prima di pranzo, il rompete le righe. Tutti a casa con in mano una busta piena di gadget made in Difesa, e il cuore condito da un pizzico di nostalgia.
Già. Tu ricordi che venticinque anni fa - quando ti toccò fare la naja - la leva era una caienna da evitare con le buone o le cattive. Quanto a chi ne faceva una professione, le cose erano tre: o era un esaltato; o un fascista; o tutte due. E ti stupisci oggi che tanti giovani istruiti e democratici senza che nessuno glielo chieda abbiano voglia di provare il brivido di indossare la divisa per tre settimane (21 giorni allalba), di prendere in considerazione lidea di camparci, che tante ragazze - e non racchie ma ventenni aggraziate e con un filo di trucco che potresti incontrare in un centro commerciale - siano lì a trascorrere un pezzo di fine settimana tra polvere e docce in prefabbricati. Contente, pure. «In quelle tre settimane ho capito che cosè il rispetto, leducazione, la parità tra sessi», dice Arianna di Ciciliano, vicino a Tivoli, che a 27 anni ha trascorso tre settimane da soldatessa alla Cecchignola e peccato che letà elevata (?) non le consenta di pensare a un futuro con le stellette. Continuerà a fare linsegnante. Vicino a lei Anna, di Canosa di Puglia, ha il broncio: «A me non mi hanno preso per la mini-naja: troppe domande, pochi posti. Ma mi hanno invitato a Roma per il 2 giugno». Noemi di Torino, 19 anni, ha fatto la carabiniera alla Cernaia di Torino, e parla di «una bellissima esperienza, molto formativa. È bella la vita in divisa, così semplice, piena di rispetto. Un po meno alzarsi alle 6 per lalzabandiera». Vengono dallAlto Adige Erika e Kathrine, la prima con un cappello da alpino in testa, la seconda con un fisico da corazziera: entrambe hanno fatto le alpine a Brunico, e Katherine, che ha 22 anni, sogna di proseguire: «Adoro dovermi adeguare alla disciplina».
Cè unaltra Italia sotto il sole della Cecchignola. UnItalia in cui accade di ascoltare cose come: «In divisa si capisce che cosa vuol dire la parola onore». Parola di Federico, 21enne romano prescelto con altri 49 per una mini-naja nellAeronautica a Viterbo. In cui Luca, trentenne tecnico del suono milanese che dieci anni fa ha sfangato la ferma allora ancora obbligatoria, oggi ha una voglia matta di consegnarsi alla mini-naja, convinto di «fare unesperienza personale e fisica diversa da ogni altra» e spinto dal «forte desiderio di difendere la mia nazione». «Con questa iniziativa i giovani si avvicinano ai valori di patria e senso del dovere. Chi mette le stellette una volta rimane delle forze armate tutta la vita», ricorda La Russa.
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