Questo Imperi II di Alberto Pasolini Zanelli (Edizioni Settecolori) si occupa della Russia e della Cina: e fa seguito ad un primo Imperi che si occupava prevalentemente di Germania e Giappone. Ma in entrambi i volumi lindiscussa protagonista è lunica superpotenza rimasta dopo il collasso e la frantumazione dellUnione Sovietica: gli Stati Uniti dAmerica. I nostri lettori sanno che Pasolini Zanelli risiede professionalmente a Washington da molto tempo: e invia al Giornale corrispondenze che anche quando trattano temi deffimera cronaca acquistano il peso e lautorevolezza del saggio. In questo Pasolini Zanelli è unico. Radicato in America, ha saputo sfuggire alle opposte insidie cui sono soggetti negli Usa i giornalisti italiani. La prima è unincondizionata ammirazione per tutto ciò che è americano, politica, azioni militari, cultura, costume. La seconda è quella duna acritica avversione per tutto ciò che è americano, magari contrabbandata come ostilità non agli Usa ma alla gestione presidenziale di George W. Bush.
Colto, penetrante - e perciò distaccato nelle sue valutazioni - Pasolini Zanelli giudica senza passionalità. Sa che negli ultimi decenni lumanità sè trovata di fronte a una situazione mai più verificatasi, nel mondo conosciuto, dopo lapogeo di Roma antica. La situazione, cioè, in cui un Impero egemone assumeva come sua missione il guidare il mondo. Virgilianamente parcere subiectis et debellare superbos, essere longanime con chi si arrende e implacabile con chi si oppone. Dopo la strage dell11 settembre 2001 Bush poté imporre una dottrina che «cancella lintangibilità della sovranità nazionale e stabilisce che gli Stati Uniti hanno il potere di sospenderla, quando si tratti di Paesi reputati pericolosi per la propria sicurezza». Questa impostazione non delizia lautore di Imperi, che tuttavia ne chiarisce con efficacia impareggiabile le motivazioni.
Sempre tenendo conto di questincombente e a volte opprimente presenza americana, Pasolini Zanelli ha dunque percorso gli itinerari di due universi dimmane complessità, appunto il russo e il cinese. Le analisi e i ritratti sono freddi e se occorre spietati. Rievocando la rivoluzione culturale di Mao, alle cui efferatezze sinchinavano gli intellettuali italiani - solo adesso Dario Fo comincia ad avere qualche dubbio - Pasolini Zanelli annota: «Liu Shaoqi, presidente della repubblica, contestatore del grande balzo in avanti, torturato per due anni, deportato nel timore che i sovietici venissero a liberarlo, morto sul pavimento di una cella. Peng Hui, eroe della guerra civile,... morto dopo centotrenta sessioni di tortura. He Long, veterano della Lunga Marcia, massacrato da un gruppo di adolescenti su una pubblica piazza fra gli applausi degli spettatori, tutti alti dirigenti del Pcc. Cui vanno aggiunti alcuni milioni di loro compatrioti meno illustri».
Gli orrori di Mao vengono lasciati alle spalle, la Cina imbocca la strada dello sviluppo economico, ma il massacro di piazza Tien An Men attesta che alla corsa verso la prosperità non saccompagnerà il cammino verso la libertà. Poiché tutto si lega, lesperienza della Tien An Men fa maturare in Gorbaciov la decisione di rinunciare alla repressione in Russia e in Europa. «Lultimo erede dinastico di Lenin e di Stalin abiura alla violenza di Stato come strumento di regno per farsi profeta disarmato, e apre così la via alla pacifica rivoluzione che lo travolgerà. Cinque mesi dopo Tien An Men crolla il muro di Berlino seguito dallImpero sovietico, da tutte le dittature satelliti, e infine dalla stessa Urss. Lalba della libertà spunta nellEuropa orientale, compresa la Russia. La sommossa liberale di Tien An Men ha fallito a Pechino, ha trionfato a Mosca».
Il boom cinese-affiancato a un boom indiano - e le ritornanti ambizioni della Russia di Putin, stanno attenuando lunilateralità statunitense, con la rivendicazione della guerra preventiva come diritto in esclusiva. La stanno attenuando pur senza averla ancora annullata.
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