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In Russia da gennaio torna la pena di morte

La Corte Costituzionale esamina in questi giorni la possibilità di porre fine alla moratoria che è in atto dal 1999 Nei sondaggi due terzi dei cittadini sono favorevoli. Ma la decisione sarà politica e il Cremlino prende tempo

In Russia da gennaio 
torna la pena di morte

La Russia, quella profonda del popolo spaventato dall’arroganza della criminalità e dalla bestialità del terrorismo, rivuole la pena di morte. E la Russia del potere politico e giudiziario, pressata da un’opinione pubblica insolitamente determinata, s’interroga. In teoria si potrebbe arrivare al ritorno del patibolo già dal prossimo 1° gennaio: la Corte Costituzionale di Mosca, su richiesta della Corte Suprema, si accinge infatti a occuparsi da martedì prossimo della questione, per arrivare a fornire il suo importante parere. Dopodiché, anche se il responso fosse positivo, la palla rotolerà nel campo della politica. Perché la Russia ha a suo tempo firmato la Convenzione per i diritti dell’uomo per entrare nel Consiglio d’Europa e se ritornasse in vigore la pena di morte la sua adesione all’istituzione europea che si occupa di diritto e giustizia verrebbe messa a repentaglio.
Secondo recenti sondaggi, ben due russi su tre sono a favore della ripresa delle esecuzioni. È da tredici anni che non vengono eseguite pene capitali in Russia, Paese che nella sua lunga storia di totalitarismi vi si era del tutto abituato: l’ultima volta accadde a Mosca nel settembre 1996, poi l’allora presidente Boris Eltsin firmò un decreto «per la riduzione graduale della pena di morte» e nel febbraio 1999 la Corte Costituzionale introdusse una moratoria. Lo stop alle esecuzioni capitali fu una scelta politica, un modo per avvicinarsi al comune sentire europeo e facilitare l’accoglienza nelle sue istituzioni.
Il Cremlino non ha mai deflettuto su questo punto. Perfino quando, nel 2006, un tribunale emise il verdetto per l’unico superstite del commando che si era macchiato dell’orribile strage nella scuola di Beslan, il giudice si dovette adeguare. «Questo crimine meriterebbe la pena di morte - sentenziò Tamerlan Aguzarov - ma viene condannato all’ergastolo dal momento che è in vigore una moratoria». Il terrorista Nurpashi Kulayev sfuggì così alla fucilazione, ma in una società russa profondamente sconvolta dal massacro di tanti innocenti non si poté impedire l’apertura di un dibattito sull’opportunità di quella moratoria. Poco sorprendentemente, molte voci si levarono per un ripensamento e dovette intervenire l’allora presidente Vladimir Putin per chiarire che non ci sarebbero stati passi indietro.

Una decisione politica, così come politica dovrà essere quella che sarà presa sull’eventualità del ritorno alla pena di morte tra un paio di mesi. Si tratta di scegliere se dare più importanza al consenso sociale o alle conseguenze internazionali di un eventuale ritorno al passato. Il quesito posto alla Corte Costituzionale deriva da un aspetto tecnico: la principale ragione per l’avvio della moratoria (almeno formalmente) era infatti stata l’assenza in molti tribunali di una giuria. Un problema che nel frattempo è stato superato ovunque tranne che in Cecenia; anche lì però a partire dal 1° gennaio una giuria ci sarà. Si è già aperta un’ampia discussione tra giuristi e difensori dei diritti umani, ma è logico pensare che Mosca non voglia autoescludersi dal Consiglio d’Europa.

Anche se, pur avendo firmato la Convenzione sui diritti dell’uomo, non ha mai ratificato il protocollo sull’abolizione della pena di morte.

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