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La Russia ora sogna un’altra rivoluzione

G8, elezioni e fusione con la Bielorussia scateneranno la svolta

Marcello Foa

nostro inviato a Mosca

La Russia è un mosaico, che noi europei non riusciamo mai a comporre. Da vent'anni sbagliamo tutte le analisi. Non abbiamo visto arrivare la perestroika, né il crollo dell'Urss. Abbiamo creduto ingenuamente in Eltsin, sottovalutando la rapacità del suo clan affaristico, poi ci siamo fatti sorprendere dal tracollo finanziario del '98 e quando Putin ha preso il potere nel 2000 nessuno era disposto a dargli credito. «Un burattino», scriveva la stampa che lo descriveva come «un grigio funzionario del Kgb» assurto per vie misteriose alla guida del Paese; dunque una persona destinata al fallimento. E invece è l'uomo che ha raddrizzato il Paese e, grazie agli alti prezzi del petrolio e del gas, gli permette di conoscere uno sviluppo economico senza precedenti. Il Pil cresce al ritmo del 5-6% all'anno mentre il Tesoro estingue, con largo anticipo, il suo debito con l'estero. Cifre da capogiro. Già, ma ora? Dove sta andando la Russia? Il mosaico ancora una volta si scompone, soprattutto sul piano interno.
Fino a qualche anno fa i suoi consiglieri giuravano: «Putin vuole essere il De Gaulle russo: un leader forte e patriottico, ma deciso ad ancorare il Paese alla democrazia». E invece con il passare del tempo i dubbi aumentano. A parole Putin continua a difendere le virtù democratiche del suo governo, ma nei fatti sembra andare nella direzione opposta. E a lasciar perplessi non è solo l'assenza di una vera opposizione in Parlamento, dove su 447 deputati solo 62, tra cui 46 comunisti, sono contrari al Cremlino. E' la tendenza a circoscrivere e, nei casi più gravi, soffocare il dissenso. Il magnate della Yukos Khodorkovsky è stato incarcerato per aver osato proporsi come possibile candidato alle presidenziali del 2008; Kasyanov, fino a poco tempo fa brillante, giovane premier, emarginato per lo stesso motivo; i governatori nelle regioni non vengono più eletti dal popolo ma nominati direttamente da Mosca; le tv sono tutte, ma proprio tutte, asservite al Cremlino, così come i giudici. E le banche. E le grandi società. E i funzionari statali.
Una dittatura? No, perché la stampa scritta resta libera e la società civile non viene strangolata. Basta camminare per le strade di qualunque città per accorgersene: la gente non ha paura di parlare, non senti l'oppressione tipica dei regimi totalitari. La Russia è una democrazia nominale con una spiccata propensione all'autoritarismo. E che ha di fronte a sé tre scadenze cruciali: a metà luglio il summit degli otto Grandi Paesi industrializzati a San Pietroburgo; le legislative del 2007 e soprattutto le presidenziali del 2008, a cui in teoria Putin non potrebbe più candidarsi, avendo esaurito i due mandati previsti dalla Costituzione. Eppure c'è chi dice che sarà ancora lui a guidare il Paese, magari come leader del nuovo Stato che nascerà dall'unione con la Bielorussia o semplicemente modificando la legge elettorale. Di certo la Russia è vicina a una svolta. Di certo le rigidità di Putin non hanno spento il desiderio di libertà e di vera democrazia; anzi paradossalmente lo stanno rinforzando perlomeno in alcuni settori della società, come dimostra l'azione instancabile di Grigory Yavlinsky, il leader storico del partito liberista Yabloko, e l'incredibile crociata di Garry Kasparov, il campione del mondo di scacchi, che un anno fa, a soli 42 anni, ha abbandonato la carriera per dedicarsi alla politica, naturalmente contro Putin. Il regime li emargina e tenta di intimidirli, ma loro non si arrendono e continuano a battersi, sebbene ognuno per conto proprio, come raccontano in due incontri con il Giornale. Interpretano chi spera in una Russia finalmente normale.
(1 continua)
marcello.

foa@ilgiornale.it

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