Russia Unita ce la fa in extremis: conserva la maggioranza assoluta

Russia Unita, il partito di Putin e Medvedev, continuerà a governare la Russia: nonostante il calo drastico dei suffragi dal 64 al 49 per cento avrà infatti nella Duma - il Parlamento di Mosca - la maggioranza assoluta dei seggi, per la precisione 238 su 450. Un dato reso possibile dalla redistribuzione dei seggi non assegnati ai partiti rimasti al di sotto della soglia minima del 7 per cento, per un partito che in base ai dati inizialmente disponibili sembrava già obbligato a cercare alleati in Parlamento. Il presidente Medvedev ha comunque detto che Russia Unita è pronta a costruire una coalizione anche se non ne avrebbe bisogno aritmeticamente: non dovrebbe essergli difficile farlo, visto che due dei quattro partiti approdati alla Duma (il centrosinistra di Russia Giusta e i populisti del bizzarro Vladimir Zhirinovsky) paiono disponibili.
Rimane il fatto che in quattro anni il consenso di un partito che sembrava onnipotente si è ridotto di un quarto (aveva 315 seggi) e soprattutto che è impossibile negare che i russi hanno voluto mandare a presidente e premier un messaggio fortemente critico, sia attraverso l’astensione, soprattutto dei giovani, dal voto (ha votato ufficialmente il 60% degli aventi diritto, ma c’è ragione di dubitare di questi dati) sia premiando le opposizioni.
Soprattutto a San Pietroburgo Russia Unita ha avuto risultati deludenti: nella metropoli sul Baltico, che ha una tradizione “occidentale”, ha appena superato il 32%, con Russia Giusta al 25,3% e i liberali di Yabloko (fuori dal Parlamento col 3,3% su base nazionale) al 12%. In grandi città come Volgograd, Vladivostok, Kaliningrad e Arcangelo il partito al potere è crollato da percentuali sopra il 60% a circa il 35%; il record negativo a Jaroslavl, dove aveva la maggioranza assoluta: solo il 29%. Grandissimo successo, invece, nelle regioni del Caucaso, con percentuali incredibili nel Daghestan colpito dal terrorismo islamico (91%) e addirittura “sovietiche” in Cecenia (99,5%), tanto che non sembra esagerato dire che siano stati i non russi a salvare Putin. I comunisti hanno addirittura prevalso in diverse importanti città soprattutto in Siberia, come Novosibirsk (34,5%), Irkutsk (31%) e Omsk (30,5%).
Medvedev ha molto insistito sul fatto che questi risultati negativi per il suo partito dimostrerebbero che le elezioni sono state oneste e trasparenti. Secondo gli osservatori stranieri presenti nei seggi, ci sono invece forti indizi che fanno pensare che varie irregolarità avrebbero consentito al partito al potere di limitare i danni. Gli inviati dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) hanno riferito di «violazioni e brogli» soprattutto in sede di scrutinio: gli scrutatori si sarebbero spesso trovati a conteggiare schede precompilate in urne non riempite dagli elettori e in certi distretti sono risultati misteriosamente votanti ben più del 100 per cento degli iscritti. Notizie che hanno spinto la segretario di Stato Usa Hillary Clinton e il ministero degli Esteri francese a chiedere che si faccia luce su queste irregolarità.
Le opposizioni, pur premiate dal voto, continuano a denunciare brogli a loro danno: ieri sera i ringalluzziti comunisti hanno soffiato sul fuoco portando in piazza a Mosca centinaia di militanti (che fingevano di non ricordare cos’erano le elezioni russe quando comandavano loro).

Ma soprattutto per il «partito di internet», movimento di opposizione che fa circolare sulla Rete informazione non controllata dal governo, hanno manifestato a migliaia gridando alla «elezione farsa». Sono seguiti gli immancabili arresti.

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