Roma - «Io voto contro»: alla vigilia della riunione di vertice del Pd, per dare il via libera definitivo al nuovo gruppo europeo, Francesco Rutelli dice pubblicamente la sua. E annuncia il proprio no.
«La scelta simbolica di far entrare il Pd nella casa socialista in Europa è un errore capitale», spiega l’ex leader della Margherita, oggi presidente del Copasir, «significa buttare a mare tutta la novità e la singolarità del Pd». Oltretutto, fa notare intervistato dal Corriere della Sera, è pure il momento peggiore per fare questa scelta di campo, visto che «i socialisti sono i più in crisi a livello internazionale».
E in effetti, bastano i risultati delle ultime elezioni europee a dimostrarlo. Anche se lo stesso Rutelli sa bene che è proprio grazie al forte indebolimento del Pse che il braccio di ferro col Pd si è sbloccato: ai socialisti la truppa di 21 europarlamentari italiani serviva, numericamente, come il pane, vista la situazione. Tanto da accettare su due piedi il cambio di nome del gruppo (ribattezzato Asde, Alleanza dei democratici e dei socialisti) per facilitare a Dario Franceschini, che nei giorni scorsi è andato a Strasburgo a chiudere la trattativa gestita da Piero Fassino, il compito di far digerire ai suoi l’adesione al Pse.
Rutelli ripeterà il suo no al «caminetto» di oggi, che vedrà riuniti tutti i dirigenti e capicorrente del partito. E spiegherà le sue ragioni: «In pochi mesi verremo chiamati “i socialdemocratici”, e diventerà impossibile rifiutare in Italia la semplificazione: Pd uguale sinistra». Argomenti destinati a stuzzicare i nervi degli ex Ppi, che dopo aver tuonato «non moriremo socialisti», come ripete spesso e volentieri Peppe Fioroni, ora si ritrovano - sia pur sotto una nuova etichetta - circondati da socialisti e dentro il gruppo Pse.
Ieri non un solo esponente ex Ppi ha aperto bocca sull’argomento. «Il malessere c’è - confida uno di loro - ma non possiamo mettere in difficoltà Franceschini ora, facendone un casus belli: il compromesso con i Ds su questo era necessario». E però qualche contraccolpo, nella riunione di oggi, è prevedibile. Proprio Fioroni ha fatto sapere ai rutelliani che anche lui interverrà mettendo agli atti il proprio dissenso. Con Rutelli si schierano diversi battitori liberi: il prodiano Barbi parla di decisione «mesta e rinunciataria», Marco Follini chiede «un supplemento di riflessione». Valerio Zanone liquida: «è un errore, il futuro del riformismo non è certo socialista». Argomenti condivisi anche da Paolo Gentiloni, Gianni Vernetti, Enzo Carra, Linda Lanzillotta, Enzo Bianco. «Certo non saremo in maggioranza», spiega uno degli organizzatori del dissenso, «ma la discussione sarà senz’altro animata». Anche perché, come spiega Rutelli, un’alternativa ci sarebbe: «La creazione di un gruppo europeista, contraltare di quello conservatore anti-europeo», con i liberal-democratici di Watson e Bayrou e gli ambientalisti di Cohn Bendit. «Ma queste strade potenzialmente alternative non sono state esplorate», fa notare Gentiloni. Franceschini e Fassino hanno trattato solo con i socialisti.
A chi gli chiede se questo contrasto possa portare ad una rottura col Pd, Rutelli risponde secco: «Io conduco la mia battaglia dentro al partito. Certo, se il Pd si connota a sinistra si chiude ogni strada di crescita». Nessuna minaccia di scissione.
Ma nella lunga battaglia congressuale che si è aperta ormai ufficialmente nel Pd, con Franceschini (e Veltroni) da una parte e Bersani (e D’Alema) dall’altra, Rutelli vuol ritagliarsi un ruolo e giocare le proprie carte. E per il 3 luglio ha convocato a Roma una riunione dei suoi «coraggiosi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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