Politica

Rutelli rischia tutto, la Margherita trema

«Liberazione»: non va discriminata la sinistra radicale

Luca Telese

da Roma

È un’altra giornata di quelle, come ormai capita sempre più spesso, in cui il centrosinistra viaggia a doppio voltaggio, a due velocità, e rischia il cortocircuito sulle poltrone più roventi. È un’altra giornata in cui sulle agenzie si anima un dibattito di cartapesta e di facciata, in cui apparentemente è tutto un tripudio di dichiarazioni entusiastiche sul partito democratico: bello meraviglioso, indispensabile, va fatto subito, come ci hanno detto gli elettori, racconta Francesco Rutelli, disegnando scenari di concordia e armonia.
Peccato che dietro questo specchio di buone intenzioni, i dirigenti della Margherita siano rimasti con il fiato sospeso per il braccio di ferro fra i Ds e Rifondazione sulla presidenza della Camera, quel duello senza esclusione di colpi fra Fausto Bertinotti e Massimo D’Alema che forse si è deciso nella serata di ieri quando è lo stesso presidente dei Ds a dire che lui Bertinotti lo vota, se così vuole Prodi.
Non passano nemmeno dieci minuti (non ci sarebbe stato nemmeno il tempo tecnico di dettare un comunicato alle agenzie) che in rete arriva un’altra dichiarazione di Francesco Rutelli, ospite proprio in quei minuti di Giuliano Ferrara a Otto e mezzo: «Se i Ds indicano Massimo D’Alema, penso che la scelta vada rispettata e accolta». Cosa vuol dire questa presa di posizione? Che la guerra per lo scranno più alto di Montecitorio preoccupa i dirigenti «diellini» perché ha una conseguenza diretta sulla poltrona che più sta a cuore agli uomini della Margherita: quella del Senato, rivendicata - come è noto - dal miglior alleato di Rutelli, Franco Marini. E così la puntata di Otto e mezzo diventa una sorta di «televendita» del candidato rutelliano: «Marini - assicura con non poco ottimismo il presidente della Margherita - può attirare anche i voti del centrodestra. Sarebbe espressione della maggioranza ma anche uomo di garanzia». E poi: «Dobbiamo concordare sui presidenti di Senato e Camera tutti insieme - ha risposto il leader della Margherita - lo faremo, lo farà Prodi che in queste ore sta incontrando tutti gli attori». Lo scenario che il leader della Margherita e i suoi paventano non è poi così fantascientifico: l’asse fra Rifondazione e il Professore rende «blindata» la candidatura di Bertinotti, i Ds gettano la spugna e si chiudono nella loro resa dei conti interna, al Senato il prestigio di Giulio Andreotti, magari per effetto di qualche franco tiratore mastelliano, azzoppa Marini (tutti ricordano cosa accadde ad un altro designato centrista come Arnaldo Forlani, per il Quirinale) e la Margherita viene spazzata via dai vertici istituzionali, perché i tre papabili più accreditati del centrosinistra (l’uscente Ciampi, Giuliano Amato e Giorgio Napolitano) sono tutti e tre di estrazione azionista o socialdemocratica.

Alla fine dei proclami, se Marini resta al palo, le vecchie rivalità sono destinate a risorgere, e il partito democratico resterà una bella chiacchiera di fine stagione.

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