Ry Cooder, re del blues dall’Havana al Mississippi

Chi non si occupa di musica lo conosce come l’artefice di Buena Vista Social Club, ovvero lo scopritore di Compay Segundo e di tutti i meravigliosi artisti cubani filmati da Wim Wenders (fra l’altro appare all’inizio del film su una vecchia moto con sidecar, accompagnato dal figlio Joachim).
Per i musicofili è uno dei più colti viaggiatori di suoni, virtuoso chitarrista e polistrumentista da sempre alla caccia delle radici della cultura popolare. Alla fine degli anni Sessanta riscoprì gli antichi misteri del blues (ha suonato con leggendari bluesmen come il Reverendo Gary Davis e Sleepy John Estes) facendoli scoprire e amare da tanti giovani bianchi, poi andò a scovare i favolosi musicisti delle Hawaii, (il mitico Gabby Pahinui e Flaco Jimenez che è ancora con lui), e ancora il jazz rétro di Bix Beiderbecke e Jelly Roll Morton tanto per fare qualche esempio.
E ancora due anni fa ha costruito un ambizioso e riuscitissimo progetto musical-antropologico con l’album Chàvez Ravine, raccontando la vera storia della «gola di Ravine», il barrio ispanico di Los Angeles spazzato via (con il suo folklore e la sua varia umanità) negli anni 50 dai bulldozer per costruire lo stadio di baseball dei Dodgers.
Cooder è un artista unico e un intellettuale unico che domani sera, a quindici anni dall’ultimo tour europeo, approda agli Arcimboldi in un’inedita accoppiata con il rocker inglese Nick Lowe (ma hanno inciso insieme nel supergruppo Little Village), col già citato fisarmonicista Flaco Jimenez e il figlio Joachim Cooder alla batteria. (Ospite la cantante californiana, da ascoltare, Juliette Commagere). Cooder è reduce da My Name is Buddy, affascinante disco in 17 «capitoli» che racconta, in modo mai didascalico e banale, la vita dei diseredati, della generazione che spiano la strada alla vita «on the road», dell’incontro tra la civiltà del nord e gli usi del sud. «Queste non sono cose che insegnano a scuola - dice Cooder - a chi interessa un mondo di poveracci che si massacrano sulle strade d’America?».
Così Cooder continua a raccontare mondi desueti o dimenticati, che lui rende intriganti attraverso saporiti cocktail sonori che non conoscono barriere di generi e stili. Con Nick Lowe al fianco c’è da attendersi di tutto, anche perché Cooder è un inventore, un pittore di suoni, rivelatosi anche un prolifico e immaginifico autore di colonne sonore. Aveva già segnato l’opera di Wenders dando un suono chitarristico cupo e sibilante a Paris, Texas. Le sue musiche hanno sottolineato alla perfezione il clima western o avventuroso dei film di Walter Hill, da I cavalieri dalle lunghe ombre a Mississippi adventure e I guerrieri della palude silenziosa.


Impossibile ricostruire la sua carriera in poche righe, anche perché lo si ritrova, più o meno in incognito, in dischi come Let It Bleed e Beggar’s Banquet degli Stones (la leggenda dice che a volte la sua chitarra sostituisse quella di Keith Richards) o lo si ritrova in avventure con Ali Farka Tourè, John Lee Hooker o agli esordi con Taj Mahal nei Rising Sons. Per conoscerlo o amarlo basta ascoltarlo una sola volta, anche su disco. Ma se potete non lasciatevelo sfuggire in concerto...

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