«Il Sì renderà più stabile l’Italia»

Il referendum confermativo del 25 e 26 giugno sulla riforma costituzionale costituisce un’importante occasione per compiere una scelta di modernizzazione delle nostre istituzioni.
Il testo sottoposto a referendum:
- rafforza la figura del Primo ministro quale leader responsabile di una coalizione; rafforza i poteri del governo in Parlamento e i poteri del Primo ministro all’interno del governo e della maggioranza; egli può nominare e revocare i ministri, come è dappertutto fuorché in Italia, e può proporre al Capo dello Stato lo scioglimento anticipato, potere bilanciato da quello attribuito alla Camera di evitare lo scioglimento stesso mediante l’approvazione di una mozione nella quale la maggioranza espressa dalle elezioni indichi il nome di un nuovo Primo ministro;
- affida al Presidente della Repubblica un ruolo di garanzia, disciplinando l’esercizio dei poteri presidenziali di più immediata valenza politica (nomina del Primo ministro e scioglimento) in modo da ridurre il rischio di dannosi dualismi;
- supera finalmente, con una scelta coraggiosa, il bicameralismo indifferenziato (un’assurda anomalia italiana), limitando il rapporto fiduciario alla sola Camera dei deputati; si tratta di una scelta essenziale, sia per realizzare un assetto di tipo federale, che presuppone l’istituzione di una Camera federale come sede di raccordo tra Stato e Regioni, sia per evitare che un’eventuale divaricazione nella composizione politica delle due Camere pregiudichi la governabilità e lo stesso bipolarismo;
- riduce di un quinto il numero totale dei parlamentari;
- corregge in più punti le irragionevoli soluzioni introdotte nei rapporti Stato-Regioni dalla revisione costituzionale operata nel 2001 dal centrosinistra. Quella riforma ha minato gravemente la funzionalità del nostro sistema normativo e istituzionale e ha provocato un fortissimo contenzioso tra Stato e Regioni, ha diffuso incertezza tra i cittadini, le imprese, gli operatori economici. Il testo ora proposto al voto dei cittadini reintroduce il limite dell’interesse nazionale, riconduce allo Stato una serie di materie impropriamente inserite tra le materie di competenza regionale e, nonostante quel che sostengono parole d’ordine falsificanti, attribuisce in esclusiva alle Regioni competenze legislative (in tema di sanità, istruzione e polizia amministrativa) che esse già possiedono.
La riforma non «spezza l’unità del Paese» - anzi la ricrea - né impone la «dittatura del premier». Essa introduce, invece, innovazioni che consolidano a livello costituzionale l’evoluzione reale della forma di governo, assicurando i necessari cambiamenti istituzionali per la definitiva trasformazione della nostra in una democrazia dell’alternanza, in sintonia con le grandi democrazie europee, ferma restando l’intangibilità dei principi fondamentali della Costituzione vigente.
Se prevarrà il «No», la spinta conservatrice pregiudicherà per molti anni a venire qualsiasi tentativo riformatore della Carta del 1948 che non è più adeguata ad affrontare le grandi sfide del nostro tempo. Non ci nascondiamo il fatto che la riforma meriti di essere successivamente integrata con alcuni correttivi, che riguardano in particolare:
- il complesso procedimento legislativo che appare farraginoso, e che rischia di determinare conflitti di competenza tra le due Camere paralizzando l’iter formativo della legge;
- la forma di governo, ove alcune rigidità finiscono per attribuire poteri di veto e di ricatto a componenti minoritarie della maggioranza;
- la composizione e il ruolo del Senato, non pienamente rappresentativo delle Regioni e dotato di poteri decisionali che pregiudicherebbero la funzione di indirizzo del Governo;
- lo statuto dell’opposizione solo abbozzato e che va rafforzato.
Queste incongruenze e difetti riguardano però, in particolare, quelle parti della riforma che entrerebbero in vigore solo in un secondo momento: nel 2011 o nel 2016. È questa un’opportunità che consente di conciliare l’esigenza di emendare con urgenza il Titolo V con quella di apportare correzioni, da effettuarsi con metodo auspicabilmente bipartisan, alle parti della riforma che necessitano ancora di riconsiderazione. Del resto, lo stesso Presidente della Repubblica, nel suo messaggio dopo il giuramento, ha affermato che dopo il voto «si dovrà comunque verificare la possibilità di nuove proposte di riforma capaci di raccogliere il necessario largo consenso in Parlamento».
Per queste ragioni, i sottoscritti ritengono che il «Si» alla riforma costituisca oggi l’unica possibile scelta per rendere le nostre istituzioni adeguate alle mutate esigenze della società italiana e per giungere a una riforma condivisa e quindi alla legittimazione reciproca degli schieramenti politici. E si appellano a quanti non hanno abbandonato la speranza che il nostro Paese possa rinnovare le sue istituzioni, perché votare «Sì» al referendum significa impedire che l’ennesima occasione vada perduta.



Tarcisio Amato, Paolo Armaroli, Pierluigi Barrotta, Sergio Belardinelli, Eugenio Capozzi, Francesco Cavalla, Achille Chiappetti, Claudio Chiola, Dino Cofrancesco, Mario Comba, Luigi Compagna, Raimondo Cubeddu, Roberto De Mattei, Giuseppe de Vergottini, Gianni Donno, Roberto Festa, Tommaso Edoardo Frosini, Carlo Fusaro, Fabio Grassi Orsini, Maurizio Griffo, Guido Guidi, Leonardo La Puma, Giorgio Lombardi, Vittorio Mathieu, Manlio Mazziotti di Celso, Luigi Melica, Luca Mezzetti, Luciano Monti, Ida Nicotra, Giovanni Orsina, Giuseppe Pennisi, Francesco Perfetti, Roberto Pertici, Angelo Maria Petroni, Giovanni Pitruzzella, Domenico Sacco, Giulio Maria Salerno, Giorgio Spangher, Mario Trapani, Sofia Ventura, Nicolò Zanon, Vincenzo Zeno-Zencovich.

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