A ppoggiare Renzi, spaccare il Pd, rientrare a Palazzo Chigi in un governo di Grosse Koalition con - sembra un paradosso - l'aiuto di Napolitano. Fantapolitica? Mica tanto. Il disegno berlusconiano è pragmatico, cinico ma lucido. D'altronde i numeri sono numeri: Renzi ha la capacità di fare quello che dice? No. Su 405 parlamentari del Pd si calcola che ben 110 siano i dissidenti pronti a mettergli i bastoni tra le ruote. Tantissimi, troppi. Poi non è detto che tutti i cento e rotti malpancisti si spingano a votare contro i provvedimenti del governo ma è chiaro che il premier non può dormire sonni tranquilli. Al Nazareno si aggira addirittura lo spettro di una scissione e Berlusconi proprio lì vuole insinuarsi. Il grimaldello è la riforma del lavoro, provvedimento non più rinviabile, pena la porta in faccia dell'Europa alla richiesta renziana di un po' più di flessibilità sui conti. Il ragionamento del Cavaliere è più o meno il seguente: Renzi ha il vento in poppa nel Paese ma la sua nave non va a causa della zavorra dei marinai piddini che gli remano contro. Soltanto io posso neutralizzarli assicurando l'appoggio azzurro ai suoi piani di battaglia. La stampella forzitaliota è lì, pronta all'uso per spazzare via in un sol colpo sindacalismo retro, sinistrismo ideologico e rottamandi dem che continuano a difendere l'indifendibile. Fino a oggi Renzi ha rifiutato la mano tesa, convinto di piegare da sé le resistenze interne; ma Berlusconi sa di aver messo sotto il naso al premier un'occasione ghiotta. Da solo non ce la farà, è convinto il Cavaliere, avrà bisogno di noi non soltanto sulle riforme e la legge elettorale ma anche sul Jobs Act e sul fisco.
Un regalo a Renzi? Mica tanto. Perché se il premier dovesse cedere, accettare i voti berlusconiani per incassare la riforma del lavoro e non essere messo alla berlina di fronte al Paese come l'ennesimo capo del governo che non mantiene le promesse, si aprirebbe una fase del tutto nuova. Questa: il Cavaliere lancia il salvagente a Renzi e questi lo acchiappa; un minuto dopo tutti dovrebbero prendere atto che la maggioranza che tiene in piedi questo governo è cambiata, non c'è più. Ergo si imporrebbe una crisi di governo. A quel punto il boccino passerebbe in mano al Quirinale che, in teoria ma solo in teoria, avrebbe più carte in mano per risolvere la questione. È vero che potrebbe scegliere di scogliere le Camere e indire nuove elezioni ma molto difficilmente potrà essere la carta da mettere sul tavolo. Molto più probabile - essendo la stabilità il faro di Napolitano - che il capo dello Stato auspichi un nuovo governo di larghe intese, capace di portare a termine in fretta le riforme strutturali che chiedono tutti, nel Paese e all'estero.
Una suggestione? Forse ma non troppo. Tant'è vero che anche il capogruppo alla Camera Renato Brunetta evoca uno scenario del genere in un'intervista al Mattino : «Aspetteremo che venga fatta chiarezza. Andremo in Aula e leggeremo i testi. Se la riforma del mercato del lavoro ci convince e magari il premier chiederà la fiducia noi siamo pronti a votare. Ma a quel punto saranno larghi settori del Pd a votare contro. Il Pd si spaccherà, la maggioranza sarà cambiata e si dovrà passare per una crisi di governo».
Siccome però ci sono troppe variabili che possono frapporsi al compimento del piano, il Cavaliere si tiene pronto a
ogni evenienza e lavora come un certosino a ricomporre la casa dei moderati. Con la convinzione che anche da Strasburgo arriverà il sigillo giuridico a ciò che è già nei fatti: essere ancora al centro del gioco politico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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