Sabrina, maliarda sexy in teatro si rivela anche come cantante

Enrico Groppali

da Roma

Grazie al talento multiforme di Gigi Proietti che, sul vaudeville di marca francese, potrebbe scrivere un saggio ponderoso, torna in un’edizione debitamente aggiornata ai vizi e ai vezzi di casa nostra quel piccolo classico di multiforme ironia che, sotto il titolo La presidentessa, l’infaticabile coppia Hennequin e Veber produsse nel lontano 1912. Un anno di grazia per il mondo variopinto e chiassoso del boulevard che, alla vigilia della Grande Guerra, si preparava al conflitto armato con l’allegra incoscienza di una banda di goliardi. Di quel mondo che s’illudeva di scongiurare il fantasma sanguinoso degli eventi procedendo impavido sulle orme di Feydeau, La presidentessa nella sua corsa frenetica al piacere ingentilita dalla gaia innocenza della burla rappresenta la sintesi risolutiva.
Perché nella vicenda dell’intraprendente Gobette che, in casa del presidente Furlon, facendosi passare per la sua casta consorte, attizza il fuoco di fila degli equivoci e l’effetto a sorpresa delle agnizioni impossibili, Parigi elevava la Francia a caput mundi con un’impenitente seduttrice promossa ad emblema di un’eterna joie de vivre. Con Hennequin e Veber, piccoli Molière del teatro d’intrattenimento, che senza rendersene conto anticipavano, fin nel titolo, l’era gollista del Generale sostenuto, al voto risolutivo, dal sì entusiastico di Brigitte Bardot. Tutto questo ed altro ancora si ritrova in nuce in questo testo canonico che, secondo Renato Simoni, rifacendosi addirittura alle gag sparse a piene mani, nella commedia antica, da Plauto e da Terenzio, rivitalizzava l’antichissima farsa degli scambi di persona e degli impossibili amori tra personaggi improbabili dimenticando,una volta tanto, il provvidenziale intervento degli dei nello scioglimento dell’intrigo che riconduce l’azione al punto di partenza.
Un capolavoro, dunque? Ci manca poco. Tanto è vero che nel perfetto congegno ad orologeria predisposto dai due grandi artigiani, Gigi Proietti non solo ha ritrovato l’estro delle sue prove più felici ma, scatenandosi da par suo, ha impresso alle cesure e ai qui pro quo un irresistibile ritmo da Helzapoppin. Dapprima imponendo alla vis comica irriverente e beffarda di Alessandro Chiti la scena a soffietto dell’ufficio del ministro irta di divani capitonné per gli amplessi proibiti del politico ma ingombra di campanelli che, suonando al momento inopportuno, mettono i colombi in apprensione suscitando indecorosi sospetti, e poi imprimendo al coro dei figuranti il frenetico andamento dell’opera buffa siglato, nel Matrimonio segreto, dall’immortale Cimarosa. Con tre magistrati dell’inizio che si sbracciano e mugolano ad arte come periferiche sciantose e l’impagabile usciere lombardo di Miro Landoni che sbraita ingiurie a raffica degne dei Legnanesi. Prima che, nella stanza dei bottoni, si materializzi il bravissimo Maurizio Micheli che, oltre alla cadenza pugliese e agli inconsulti gesti burattineschi, sfoggia la stessa mimica stralunata e feroce che, fino a ieri, era appannaggio di Alberto Lionello.
In un andirivieni di ascese al vertice e di terrificante precipitar di gonnelle, Paila Pavese sfoggia una sapienza vernacolare da comica di razza mentre il sussiegoso Virgilio Zernitz, nei panni del marito cornuto, piangendo come un vitello inalbera il riso sciocco dei fatui.

Su tutti poi domina da maliarda strepitosa e suadente, col suo charme da primadonna della risata e movenze feline da professionista del piacere, una Sabrina Ferilli lieve e soffice come un biscuit, che canta con grazia e languida propaga per ogni dove l'eterno profumo della seduzione.
LA PRESIDENTESSA - di Hennequin e Veber. Regia di Gigi Proietti, con Sabrina Ferilli e Maurizio Micheli - Roma, Teatro Brancaccio, fino al 29 gennaio.

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