Saddam finisce all’ospedale per lo sciopero della fame

Non mangiava nulla da 15 giorni: ora viene alimentato con flebo, ma oggi non potrà essere in tribunale

Roberto Fabbri

Dopo quindici giorni di sciopero della fame, Saddam Hussein è finito all’ospedale gravemente indebolito. L’ex dittatore iracheno, che ha 69 anni, rifiuta ancora il cibo e viene nutrito con le flebo. Nel referto dei medici che lo hanno preso in cura si legge che le sue condizioni di salute gli impediranno di essere presente oggi in aula alla ripresa del processo per il massacro di 148 civili sciiti nel 1982: processo che potrebbe concludersi con la condanna a morte di Saddam.
Occasione (o pretesto) per lo sciopero della fame, al quale partecipano anche il fratellastro di Saddam, Barzan al-Tikriti, e l’ex vicepresidente Taha Yassin Ramadan, è l’uccisione, avvenuta lo scorso 21 giugno, di uno degli avvocati del collegio difensivo, Khamis al-Obeidi, il terzo legale a morire di morte violenta da quando il processo è cominciato nello scorso ottobre.
Oggi è prevista l’arringa dei difensori di Ramadan e di Awad al-Bandar, ex presidente del tribunale rivoluzionario che firmò la sentenza di condanna a morte per i 148 abitanti del villaggio di Dujail, accusati di corresponsabilità in un tentativo di assassinio di Saddam durante una visita del dittatore. Ma il collegio difensivo ha reso noto che è stato deciso il boicottaggio delle udienze, per rinunciare al quale gli avvocati chiedono da una parte maggiore protezione per le loro persone e dall’altra ampi margini di tempo per la difesa dei loro clienti.
Non sembra che questo tentativo sia destinato a incontrare successo. Il procuratore generale Jaafar al-Mussawi ha chiarito che se i legali degli imputati non si presenteranno verranno automaticamente nominati avvocati d’ufficio.
Già lo scorso 11 luglio, del resto, la difesa aveva tentato di ricorrere a trucchi del genere per guadagnare tempo. Una parte degli avvocati non si era presentata alla ripresa delle udienze, costringendo Mussawi ad aggiornare il processo. In quell’occasione il procuratore generale si era rivolto ai legali presenti raccomandando loro di «dire ai colleghi che sono fuori dal Paese che se non si presenteranno nuoceranno ai loro colleghi».
Ieri i difensori di Saddam Hussein sembrano aver dato fondo a tutte le loro risorse per smuovere le acque e cercare d’impedire quello che sembra essere l’inevitabile traguardo di questo processo: la messa a morte di Saddam, Ramadan e Tikriti, già chiesta due mesi fa da Mussawi. Ecco dunque l’accusa alle «forze di occupazione di americane» di essere le responsabili dello stato di salute dell’ex dittatore in stato di detenzione, l’appello «alle organizzazioni arabe e internazionali che si occupano dei prigionieri di guerra», con la richiesta di un immediato intervento per favorire «l’accoglimento delle giuste richieste della difesa», in particolare «un processo equo e un’inchiesta sull’uccisione del martire Khamis al-Obeidi e dei suoi colleghi». E la minaccia, ribadita dal capo del collegio difensivo Khalil Dulaimi, di tener duro sul boicottaggio infischiandosi delle parole di Mussawi.


Tutto questo mentre continua la carneficina attuata contro i civili sciiti iracheni dalla cosiddetta resistenza ormai dedita al tentativo di scatenare una guerra intestina: autobomba hanno fatto strage a Sadr City (sterminato e miserabile sobborgo sciita di Bagdad) e a Kirkuk. In tutto si sono contate 64 vittime, tra frequentatori di un mercato e operai in fila in cerca di una giornata di lavoro.

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