Saddam, processo lampo e condanna a morte certa

Il raìs in tribunale entro due mesi o al massimo in autunno. Dei 500 capi d’imputazione iniziali ne sono stati mantenuti 14. Gli Usa spingono per un verdetto rapido

Mariuccia Chiantaretto

da Washington

Le accuse sono gravi, provate e portano a una sola previsione: una condanna a morte. Saddam Hussein, l’ex dittatore iracheno, prigioniero degli americani dal dicembre 2003, verrà processato probabilmente entro due mesi, sicuramente prima della fine dell’autunno.
I circa 500 capi di imputazione che gli erano stati notificati sono stati archiviati tutti ad eccezione di 14, quelli più gravi. Il portavoce del primo ministro Ibrahim Al Safari, Leith Kubba, ha spiegato: «Siamo assolutamente sicuri che queste incriminazioni sono sufficienti per assicurare il massimo della pena. Non c’è dunque ragione di perdere tempo con altri capi d’accusa».
Uno degli avvocati di Saddam Hussein, Issam Ghazawi, ha criticato aspramente le dichiarazioni del portavoce del governo iracheno. «È illegale - ha detto Ghazawi - presentare le incriminazioni in questo modo. La procedura appropriata sarebbe stata la notificazione delle accuse fatta attraverso il tribunale, mandando agli avvocati della difesa una copia scritta delle incriminazioni di cui l’imputato dovrà rispondere».
Invece di un processo spettacolo alla Slobodan Milosevic, il nuovo governo iracheno, consigliato dagli americani, ha optato per un copione che prevede udienze lampo e la fine del processo prima delle elezioni del 15 dicembre. Il governo di Washington ha destinato al processo contro Saddam Hussein 75 milioni di dollari e ha fornito al nuovo governo iracheno l’assistenza del fior fiore dei giuristi americani esperti di tribunali internazionali.
Fra i 12 capi d’accusa di cui il raìs dovrà rispondere ci sono:
L’esecuzione nel 1982 di circa 160 abitanti della cittadina sciita di Dujail, messi a morte dopo un attentato contro di lui.
L’uccisione e deportazione di 8mila membri del clan curdo dei Barzani, la famiglia a cui appartiene l’attuale leader del partito democratico curdo Massoud Barzani.
L’attacco con armi chimiche nel 1988 alla città di Halabaja e a un’altra dozzina di villaggi curdi, in cui morirono circa 5mila persone.
Condanne a morte e esecuzioni sommarie di diversi leader politici e religiosi.
L’occupazione del Kuwait, che provocò nel 1992 il primo intervento militare americano.
La repressione armata nel ’91 di una rivolta sciita in cui morirono 150mila persone.
Per quel che riguarda il capo d’imputazione sulle esecuzioni di Dujail sul banco degli imputati, oltre a Saddam, verranno chiamati il suo fratellastro Barzan al Tikriti, all’epoca capo dei servizi di sicurezza, l’ex primo ministro e vice presidente Taha Yassin Ramadan, e Awad al Sadoun, il giudice della Corte di Dujail che ha condannato a morte, su richiesta del raìs, 143 abitanti della città.
Gli avvocati del governo iracheno sperano di ottenere da Al Tikriti e Ramadan la conferma che Saddam, dopo le esecuzioni di Dujail ordinò la distruzione di buona parte delle case della città, e fece sradicare le palme e gli alberi da frutta, unico mezzo di sostentamento per la gente del luogo.
Sul morale di Saddam alla vigilia del processo ci sono voci contrastanti. Raid Juli, il capo degli investigatori del governo iracheno che si sono occupati dei capi di accusa, ha rivelato che il deposto presidente, rendendosi conto della gravità della situazione sta piombando in un vortice di depressione acuta.
L’avvocato Khalil al Duleimi, che guida il collegio dei difensori, è di parere opposto.

«L’ultima volta che l’ho visto - ha detto - era di ottimo umore». Occorre però tenere conto del fatto che l’ultima visita di Duleimi a Saddam risale alla fine di aprile, quando probabilmente il detenuto non era ancora stato informato del processo lampo.

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