La «saga Loren» arriva in tv Sophia piange per sua madre

RomaLe lacrime di una diva. Non capita spesso di assistere all’unico spettacolo che una star non vorrebbe mai dare. La propria commozione. Se poi la star è Sophia Loren, leggenda del cinema italiano nel mondo, l’emozione è doppia. È successo ieri a Cinecittà che Sophia, parlando di La mia casa è piena di specchi (la miniserie che Raiuno dedicherà, domenica e lunedì, alla vita di sua madre, Romilda Villani, e quindi a tutta la «saga» Loren) abbia per un attimo perso il suo proverbiale aplomb. «Stiamo parlando della mia vita - ha spiegato -. Questa non è una fiction: è la storia di una vita. Una storia più bella di qualsiasi favola». Tratta dall’omonimo romanzo della sorella, Maria Scicolone, e diretta da Vittorio Sindoni, La mia casa è piena di specchi («Cioè di ricordi - spiega l’autrice -, davanti ai quali ti confronti sempre»), la fiaba è narrata da un’angolazione insolita: «Quella di mia madre - ricorda Sophia -. Donna coraggiosa, battagliera, dura e insieme fragilissima cui sia io sia mia sorella dobbiamo molto. Anzi tutto».
A partire dalla vigilia dell’Oscar per La Ciociara (di cui quest’anno ricorre il cinquantenario e che Raiuno manderà in onda dopo la seconda puntata), il racconto ripercorre in flash back «le vicissitudini di una donna poverissima - racconta la Loren - che nel dopoguerra, con due figlie illegittime avute da un uomo sposato, Riccardo Scicolone, s’avventurò da Pozzuoli a Roma per dare loro un nome, un futuro e, attraverso di loro, un risarcimento a sé stessa per tutto ciò che la vita le aveva negato». Bellissima, vincitrice nel 1932 di un concorso Mgm quale sosia di Greta Garbo ma frustrata nelle ambizioni dalla famiglia, a 25 anni Romilda s’innamorò «dell’uomo sbagliato, che non fu mai per lei un vero marito né per noi un vero padre, rinunciando a essere donna, e riversando su noi due tutto il proprio bisogno d’amore». Amore espresso anche in forma problematica. «Quando Maria mi propose d’interpretare nostra madre, abbiamo discusso moltissimo. Prima di dire sì per due mesi ho passato notti insonni». Perché in Romilda Villani c’erano due madri diverse: «Quella protettiva e complice, che sacrificò tutto di sé per sostenermi nella mia carriera; e quella ansiosa e oppressiva, che riversò su Maria le proprie frustrazioni arrivando, lei che pure era tanto buona, a farle anche molto male». «A 18 anni Sophia girava il mondo - spiega Maria Scicolone -. E a casa con mamma io mi sentivo chiusa, prigioniera. A 5 anni mi ricattava emotivamente, dicendomi “Pensa quando non ci sarò più”. A 7 mi faceva sentire già un’adulta stanca. Per fare la pace con lei ho scritto il libro, che è stato quasi una seduta psicanalitica. Ho dovuto chiuderla in un cerchio d’amore e di oblio. Ma oggi le voglio molto bene».
L’incontro di Sophia con Carlo Ponti, quello di Maria col jazzista Romano Mussolini; l’Oscar di Sophia per La ciociara la stessa notte in cui Maria scopre d’essere incinta: tutta la fiction è un controcanto fra le esperienze della figlia maggiore (interpretata da Margareth Madè, la protagonista di Baarìa di Tornatore) e della minore (Gilda Lapardhaja); con la madre sullo sfondo, «simile a un’imperatrice. O a una bimba sperduta». Perché la difficoltà stava nello svelare ciò che in qualsiasi famiglia si preferisce tenere per sé. «Non potevo tacere i difetti di mia madre. Che poteva apparire perfino spietata. Ho cercato di esprimere anche la sua grande, nascosta fragilità».
E come si è rivista Sophia incarnata dalla Madè? «Margareth è perfetta per il ruolo. Mi è piaciuta subito. E poi non fa come tante sue colleghe: è educata, pronta a imparare e attentissima alla propria carriera». Ed Enzo De Caro, che rifà suo padre? «Gli ho fatto vedere una foto di papà. E suggerito tante cose di lui, compresi i suoi tic».

Quando oggi pensa a sua madre, a cosa pensa? «A quando tornavo dai set. Mi faceva trovare i peperoni, i pomodori, le polpettine. Il profumo di casa, insomma. Di quella casa che aveva costruito tutta da sola, per me e per mia sorella».

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