Cultura e Spettacoli

Salonicco, l’altra terra promessa

La città greca ospitò fino al ’900 la più grande comunità di ebrei sefarditi del mondo. «Con le radici nel cielo» di Saul Israel racconta (in prima persona) i drammi di quella popolazione

Salonicco, l’altra terra promessa

Il romanzo di Saul Israel (1897-1981), medico e letterato sefardita, trapiantato in Italia dalla natia Salonicco nel 1916 (Con le radici in cielo, Marietti, pagg. 262, euro 18) potrebbe definirsi una sinfonia in tre parti e molti commoventi accordi. Le parti sono quelle che seguono il percorso tragico di tante saghe familiari ebraiche contemporanee. Sono Il Crollo - quello dell’antica comunità di Salonicco che fu, prima della Tel Aviv contemporanea, la sola città a maggioranza ebraica del mondo -; La Dispersione - cioè la traumatica creazione di una diaspora salonicchese in Italia e in Francia dopo la Prima guerra mondiale; L’Apocalisse - la scomparsa di quasi tutti i membri di questa diaspora nella voragine nazista.
Gli accordi in questa sinfonia sono fotografie di melanconica storia e irrazionale fede religiosa; di crisi familiari e scontri ideologici; di amori delicati e debolezze umane; di speranze messianiche e disperazione. Formano l’intreccio di storie singole e collettive che con la compressione dei dialoghi e uno sviluppo di dettagli descrittivi dei personaggi e degli ambienti potrebbero far credere al lettore di trovarsi di fronte a un Tolstoj o, nel campo ebraico, un Amos Oz.
Si resta affascinati dalla ricchezza di un romanzo che accomuna una profonda conoscenza del mondo tradizionale ebraico sefardita con l’analisi dell’impatto della modernità e delle ideologie su una comunità che, nel giorno del digiuno del Kippur, faceva di Salonicco «una città in cui una cinquantina di sinagoghe per ventiquattro ore avevano inghiottito quasi tutta la popolazione».
In quel giorno, scrive Saul Israel, «fra taleth (manti di preghiera), candele, lampadari e canti si formava una specie di protoplasma unico nel quale si agitavano lentamente con ritmo strano e uniforme le persone che ne formavano il nucleo. In quel giorno l’uomo isolato non contava nulla, diventava come un soffio di vento che passa, come un granello di sabbia. Soltanto nel pieno della coscienza collettiva egli assumeva valore di personalità».
Quando poi la famiglia tradizionale incominciava a disgregarsi, i vecchi, «abituati come erano a giudicare il presente e prevedere il futuro riferendosi esclusivamente al passato, cercavano ansiosamente nella storia del popolo ebraico gli episodi che presentavano delle analogie con gli avvenimenti attuali per dedurne previsioni per il futuro prossimo. Alla fine si affidavano invariabilmente alla Provvidenza». Era una posizione che i giovani non erano disposti ad accettare. Ma di fronte alle scelte che venivano loro offerte - conversione al cristianesimo in cui credevano ormai meno che nell’ebraismo formale da cui fuggivano; adesione al comunismo, al fascismo o al sionismo - sentivano più crudele l’ansia dello sradicamento dal vulnerabile, imbelle ma caldo bozzolo familiare.
Alcuni giovani sognavano di andare in una terra in cui finalmente gli ebrei potessero sentirsi a casa propria. Ma davanti al sionismo esitavano. Per quanto convinti che non potesse più esistere «una nazione eternamente ed elusivamente consacrata ad una missione specifica», sentivano che il nazionalismo ebraico rappresentava un impoverimento. «La delimitazione del giudaismo come nazione permetterà di stabilire una configurazione netta delle caratteristiche spirituali e come conseguenza, una distinzione netta fra fatto politico e fede religiosa».
A Salonicco gli ebrei erano coscienti che l’antisemitismo rappresentava la «riacutizzazione episodica di un odio che trova tutte le vie più o meno efficacemente sbarrate eccetto quelle che conducono verso gli ebrei dove può sfogarsi liberamente e senza nessun rischio». Ma fra gli emigrati all’estero c’era chi restava convinto che anche se diecimila ebrei si fossero fatti cristiani o viceversa, ebraismo e cattolicesimo non avrebbero perso forza e significato... «Perché tutto nella religione è questione di famiglia... chi non ha ricevuto il sentimento religioso in famiglia e non lo ha perfezionato in essa, non riesce nemmeno a sapere di cosa si tratta. Il primo e più sacro tempio della religione è nel focolare domestico prima di essere nella sinagoga o nella chiesa. È qui che l’uomo incomincia a conoscere Dio nella misura che conosce suo padre e sua madre. Fuori della famiglia Dio non è che un’arida astrazione che può avere anche la sua bellezza particolare ma si tratta di una bellezza priva di umanità; una bellezza tipicamente pagana fatta di simboli, di esorcismo e di scongiuri. È il Dio degli scapoli e degli atei».
L’altro Dio era quello del rabbino Coen di Roma. All’SS che lo minacciava di lasciarlo vivo per mostrargli ciò che la Germania era capace di fare «con tipi spregevoli come lui», risponde: «Non potresti infliggermi delle sofferenze che la morte non interrompa. Dovete piuttosto temere le conseguenze dei vostri delitti.

Anche se riusciste ad uccidere l’ultimo degli ebrei, Dio saprebbe farne resuscitare altri fra gli stessi tedeschi pentiti».

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