Salute

"Vi dico cosa sta succedendo col Covid. Presto terza dose per tutti"

Francesco Parisi, già responsabile del dipartimento di trapiantologia toracica dell'ospedale Bambino Gesù di Roma, avverte: "Vaccini anti-Covid necessari non solo per i trapiantati"

"Vi dico cosa sta succedendo col Covid. Presto terza dose per tutti"

“Ora si è cominciato con le persone più a rischio e più fragili come i trapiantati, gli anziani e il personale medico-infermieristico, ma presto arriveremo tutti a fare la terza dose di vaccino anti-Covid”. A dirlo, in una lunga intervista a ilGiornale.it è Francesco Parisi, già responsabile del dipartimento di trapiantologia toracica presso l'ospedale Bambino Gesù di Roma e autore del libro autobiografico Ho visto persone attraversare le Ande.

Il Covid, per i trapiantati, quanto è pericoloso e contagioso?

“È difficile dirlo. L'impressione, dai primissimi pochi dati che abbiamo, è che il Covid faccia più danni a chi è trapiantato da più tempo piuttosto che a chi è trapiantato da pochi anni perché i trapiantati recenti fanno una terapia cortisonica immunosoppressiva molto più elevata. E il cortisone è proprio il farmaco che si dà quando si viene colpiti dal Covid”

Perché per i trapiantati è così importante fare anche la terza dose di vaccini?

“Per gli stessi motivi per cui era importante fare le prime due dosi. Abbiamo visto che il Covid non è un problema rispetto al quale avremmo una soluzione definitiva nel breve periodo. Dovremo, dunque, imparare a convivere con il Covid gestendo il problema con un numero molto basso di contagi e, nei tempi medio-lunghi, questo numero sarà sempre più basso. Per fare questo è importante che soprattutto le categorie più fragili siano adeguatamente difese. I dati di cui disponiamo ci dicono che dopo un certo tempo c'è una tendenza dell'immunità a ridursi e, quindi, la terza dose di richiamo è assolutamente indicata. Inoltre, grazie ai vari tipi di vaccino forse si può anche rafforzare l'immunità. Facendo la terza dose con un vaccino diverso dalle prime due si può anche stimolare in maniera più efficace il sistema immunitario e combattere meglio anche le nuove varianti”.

Ma in Inghilterra cosa sta succedendo?

“In tutta questa vicenda l'Inghilterra ha sempre avuto un atteggiamento diverso e autonomo rispetto a tutti gli altri Paesi europei. Noi dobbiamo osservare cosa succede lì traendone le giuste conseguenze. Loro, per esempio, all'inizio hanno scelto di fare una prima dose a tutti piuttosto che fare la vaccinazione completa e, quindi, l'intervallo tra le due dosi è stato molto ampio. Dopo un po' ci si è resi conto che questa politica non è stata così efficace. Inizialmente sì, ma col passare del tempo ci si è accorti che hanno avuto diversi problemi”.

I vaccini sono pericolosi?

“No, non lo sono. Il pericolo della malattia è enormemente maggiore di quello dei vaccini. Nessuno nega che ci possano essere delle complicanze da vaccino, ma i numeri di cui disponiamo su una vaccinazione di massa sono minimi rispetto ai danni che dà il Covid. Basti pensare che le Regioni più indietro nei vaccini sono quelle che hanno ancora il maggior numero dei contagi”.

I no vax però sostengono che non si conoscono ancora realmente gli effetti a lungo termine di un vaccino che, di fatto, esiste da un anno. Come si risponde di fronte a tale obiezione?

“Certo, però, conosciamo molto bene le conseguenze a breve termine del Covid. Non c'è mai stata l'evenienza di una vaccinazione di massa in breve tempo come in questo caso, ma perché mai nessuno si è opposto ai vaccini esavalenti obbligatori per i bambini che vanno a scuola? Nessuno ricorda che, quando io ero piccolo, abbiamo fatto tutti il vaccino contro il vaiolo. Ora non si fa più proprio perché, grazie al vaccino, questa malattia è stata debellata. Anche per questo vaccino, quando si iniziò a somministrarlo, nessuno aveva idea di quali possibili complicanze a lungo termine avrebbe potuto dare. In questo momento, ora, abbiamo un problema molto significativo con la malattia, ma contemporaneamente abbiamo una buona difesa col vaccino”.

Voi medici come avete vissuto il primo periodo della pandemia?

“Le indicazioni per i pazienti sono state fin da subito molto chiare: limitare al massimo i contatti. Abbiamo limitato le visite in ospedale immediatamente solo al minimo indispensabile e tutto il resto del follow-up è stato seguito, per quanto possibile, a distanza. Quando, poi, sono stati disponibili i vaccini è arrivata l'indicazione per i trapiantati di vaccinarsi”.

Lei ha avuto il Covid. Ci vuol parlare di come ha vissuto questa esperienza?

“Sì. Fortunatamente ne sono uscito bene e non ho sequele, ma il Covid non è una normale influenza. Sono stato abbastanza male. Ho una casa su due piani e mi sono accorto subito che facevo una fatica enorme a fare le scale. Ho cominciato a vedere che la saturazione si abbassava in modo significativo, fino a 90. Poi ho preso il cortisone e, pian piano sono stato meglio però non è una passeggiata. Anche mia moglie ha preso il Covid, ma in forma diversa, con una sintomatologia articolare”.

Veniamo al suo libro. Tra i vari casi che ha raccontato, qual è la storia che l'ha colpita di più?

“Faccio un po' fatica a raccontare la storia che mi ha colpito di più. Il libro l'ho scritto molto di getto e, quindi, le prime 30-35 storie sono, forse, anche quelle più emotivamente forti. Quando, poi, stavo smettendo, ho avuto il dispiacere di non aver potuto raccontare tutte le storie. Citarne una sola più rappresentativa di altre diventa complicato perché ogni storia è particolare. Ivan, soltanto per essere stato il primo, ci ha permesso di imparare molto con lui. Giulia, una ragazza che voleva a tutti i costi un bambino e lo ha fatto dopo 30 anni dal trapiantato e non era mai successo. Poi non scorderò mai il viaggio fatto in ambulanza insieme a Francesco quando si ruppe la gamba proprio in ospedale. Infine, la storia di Andrea che ha ricevuto il cuore da Nicholas Green. Scegliere è impossibile. Me le ricordo tutte molto bene, anche quelle che non ho potuto ancora raccontare”.

Lei è andato in pensione da meno di un anno. Dal punto di vista professionale, ha dei rimpianti?

“Si, sostanzialmente uno: non aver potuto garantire ai pazienti, al momento dell’uscita dall’ospedale, un dopo in linea con quanto fatto finora, condiviso con le figure subentranti e a garanzia di una sostanziale continuità terapeutica” .

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