Per salvare il riso italiano arrivano le mondine cinesi

In Piemonte è impossibile trovare manovalanza locale disposta al lavoro nei campi. Un dirigente: «Costano poco, non si lamentano e sono espertissimi»

Federica Artina

da Milano

C’erano una volta le manovalanze specializzate, laddove oggi c’è un’Italia che non vuole più abbassare la schiena sotto il sole. C’era una volta il riso, le risaie e la mondatura a mano. Quelli ci sono ancora, e c’è anche chi vuole a tutti i costi realizzare un prodotto di qualità. Come fare? Neanche a dirlo, arrivano i cinesi.
Tra luglio e settembre i tradizionali campi allagati della Lomellina e del Vercellese si popolano di uomini e donne dagli occhi a mandorla che passano la giornata camminando avanti e indietro a gruppetti di cinque o sei unità con le gambe a mollo, impegnati nella mondatura delle sementi del riso. Un fenomeno in espansione da almeno una decina d’anni, da quando cioè reperire personale locale per eseguire l’operazione di «pulizia» delle coltivazioni è diventata un’impresa ai limiti dell’impossibile. Il motivo lo spiega Massimo Biloni, vice direttore di Sa.pi.se., una cooperativa di Vercelli specializzata nella ricerca, produzione e commercializzazione di sementi di riso: «I cinesi sono la nostra salvezza. È praticamente impossibile trovare personale locale disposto a passare ore e ore sotto il sole con le gambe a mollo a estirpare erbacce. Loro, invece, accettano di buon grado e non si lamentano mai». Ma non è solo per ragioni logistiche che il fenomeno sta prendendo piede. Gli operai cinesi, infatti, sono altamente specializzati e hanno un inclinazione naturale per questo mestiere: «In Cina la coltivazione del riso è la principale occupazione della popolazione. E anche le persone che vengono da noi sono nate in mezzo alle piantine, ragione per cui sono espertissimi».
Uomini e donne, giovani e meno giovani, «molto magri e allenatissimi». Vengono da Milano e Torino, soprattutto, dove lavorano come camerieri nei ristoranti o negli alberghi. Fanno la stagione, oppure si organizzano in turni e riescono ad arrotondare lo stipendio. Passano fino a dieci ore nei campi, per 6-7 euro all’ora, «un motivo in più del loro successo, provi lei ad offrire questi soldi a un italiano...».
Le mondine con gli occhi a mandorla sembrano aggirarsi addirittura intorno alle 250 unità, e vengono impegnate nelle varie aziende presenti nei 180mila ettari del «triangolo del riso» Vercelli-Novara-Pavia, dove si produce il 90% dell’intera produzione nazionale del cereale. Il loro compito è fondamentale: l’opera di pulizia del campo, la «mondatura» appunto, è il criterio su cui si basa la certificazione statale che rende un seme degno di essere trapiantato per entrare in produzione: «In questo periodo gli operai strappano erbe infestanti, più avanti le tagliano - spiega ancora il dottor Biloni -. A fine agosto il campo dev’essere perfetto perché arriva la verifica dell’Ense (Ente nazionale sementi elette, ndr), che controlla sul campo la qualità del prodotto, per certificarlo».
A settembre gli operai cinesi spariranno, come ogni anno. Ognuno tornerà alle proprie occupazioni. Pochissimi, quasi nessuno farà ritorno in Cina.

«Somigliano ai nostri connazionali che emigrarono in America: hanno voglia di lavorare e vengono in Italia per cercare fortuna» conclude il vice direttore della Sa.pi.se. Con una certezza amara come il famoso «riso» cinematografico: loro sono già la fortuna di un territorio che, altrimenti, non saprebbe come portare avanti il lavoro di un’intera stagione.

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