Fare lassessore alla cultura a Roma per la quarta volta di seguito e viverlo come una condanna. O quasi. Succede a Gianni Borgna, esperto di canzoni romane e non, già segretario della federazione del Pci, e prima uno dei brillanti giovanotti che animarono la sezione «pasoliniana» della Fgci. Doveva diventare sottosegretario ai Beni culturali, i giornali davano per sicuro il trasferimento dal Campidoglio a via del Collegio romano; invece, alla resa dei conti, è rimasto col cerino in mano. Senza poltrona governativa e senza laticlavio (gli avevano promesso anche un posto al Senato). Sicché il bis-sindaco Veltroni, che pure avrebbe voluto svecchiare lassessorato, se lè ripreso in giunta, sfidando il sarcastico commento di Liberazione: «Ventennio di Borgna? Non è una buona idea».
In effetti, al di là dei meriti anche caratteriali di Borgna, ci si chiede se il «lavoro culturale» nella capitale (per dirla con Bianciardi) possa essere affidato per tanti anni di seguito ad una stessa persona. Quale slancio, quali idee, quale fantasia verranno, in un settore così cruciale, da un uomo che ammette: «Io stesso avevo posto la questione dellavvicendamento». Intervistato dal Corriere, ha rivelato di aver chiesto «ai tantissimi sostenitori illustri» di scrivere al partito per protestare. Chissà se lhanno fatto.
Salvate il povero Borgna dai fantasmi del «ventennio»
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