«Salveremo i classici con Google»

S e Charles Dickens - un viscerale amante del diritto d’autore - fosse ancora vivo, non perderebbe certo l’occasione di ficcare il suo naso dal perfetto fiuto romanzesco in questa intricata querelle dai mille risvolti, non solo legali, ma anche morali e addirittura politici.
Accade che dal 2004 il motore di ricerca Google stia digitalizzando l’intero patrimonio librario dell’umanità. Una sfida che però ha procurato al progetto Google Books diversi nemici, da Microsoft a Yahoo! fino all’Associazione italiana editori: tutti hanno presentato ricorso presso la Corte di New York per fermare l’operazione o per chiedere cospicui chiarimenti a proposito. Gino Mattiuzzo è responsabile di Google Books per l’Italia, e ha risposto alle nostre domande dal suo cellulare «androide» (Android è il sistema operativo open source di Google per i telefonini) mentre proprio raccoglieva le idee per il suo intervento di giovedì prossimo al Festival «Citta del Libro» di Campi Salentina, a Lecce.
Mattiuzzo, che succede a Google Books? Pare che non si riesca a trovare un accordo...
«C’è che Google ha l’ambizione di rendere disponibile al navigatore del web qualsiasi libro stampato in qualsiasi momento della storia. Non è una faccenda di controllo globale della cultura, come molti temono. Piuttosto, una facilitazione per i lettori, nonché una grandissima democratizzazione dell’informazione».
E come sta procedendo?
«Abbiamo già digitalizzato dieci milioni di libri nel mondo e firmato quaranta accordi con biblioteche pubbliche, dalla Bodleian Library di Oxford a quelle di Monaco e Madrid. In Italia, ci sono stati contatti con Mario Resca dei Beni culturali. Le biblioteche italiane hanno classici importantissimi».
Ma Google Books non digitalizza solo classici e da qui nasce la querelle...
«Acquisiamo anche libri soggetti a copyright. Alcuni editori ce li cedono a titolo gratuito. In Italia, tra gli altri, Franco Angeli, Feltrinelli, Paoline editoriali, Giunti, Hoepli, Edizioni Mediterranee. Google rende consultabile al massimo il venti per cento di ciascuno di questi testi. Se il lettore è interessato acquisterà poi il cartaceo in una libreria tradizionale oppure on line».
Ma il ricavo di Google?
«Intanto attiriamo navigatori che usano anche altri nostri servizi. Poi, alla Fiera di Francoforte, abbiamo annunciato per il 2010 Google Editions. In futuro venderemo on line per gli editori che lo vorranno le digitalizzazioni complete di questi libri. All’editore andrà il 63 per cento, a Google il 37. Lo stesso varrà per i libri fuori catalogo, sempre più importanti e ricercati, però solo negli Usa e qualora la Corte di New York approvasse un accordo tra Google, autori ed editori».
E i famigerati «lavori orfani»?
«Il contendere nasce proprio da questi. Si tratta di un gruppo rilevante di libri di cui per diversi motivi non si riesce a rintracciare il possessore dei diritti. Ammetto che il business è grande, ma non siamo gli unici a volerlo perseguire. Gli altri temono il nostro monopolio. Questa è una parola che solleva un gran polverone nell’opinione pubblica».
E quindi...
«Per adesso non stiamo digitalizzando nulla che non abbiamo il diritto di digitalizzare. Dopodichè abbiamo presentato la settimana scorsa alla corte di New York una serie di proposte per calmare le acque. Era già peraltro in cantiere un Book Rights Registry dove poteva iscriversi chi scopriva di avere i diritti di un libro da noi digitalizzato».
Soluzione facile... E se nessuno lo scopre?
«Google non ci guadagna.

Quando venderemo “lavori orfani” i ricavi che spetterebbero ai detentori sconosciuti dei diritti resteranno in gestione al fiduciario del Registro. Se dopo cinque anni nessuno ha reclamato il copyright verranno spesi per fare una ricerca attiva sui possibili detentori. Se anche questa non darà frutto, li daremo in beneficenza».

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