Salviamo la leggenda del Barone Rosso e il senso della storia

L’inutile revisionismo che vuole solo cancellare gli eroi

C’è revisionismo e revisionismo. Aderisco con slancio - quando è possibile dando un contributo personale - al revisionismo che corregge luoghi comuni della vulgata storica ufficiale. Perché la vulgata storica ufficiale pecca il più delle volte di conformismo e reticenza. Con slancio eguale e contrario provo diffidenza verso il revisionismo che si propone di contraddire consolidate verità storiche al solo scopo di épater le bourgeois.
Qualche giorno fa ho partecipato a un dibattito, promosso dal consolato generale svizzero a Milano, sul discusso libro di Renata Broggini Passaggio in Svizzera. L’anno nascosto di Indro Montanelli. Libro che ricostruisce le vicende di Indro nel 1944-45 (dal carcere di San Vittore alla fuga in terra elvetica e al ritorno in Italia) con un preciso intento: dimostrare che i ricordi di Montanelli su quelle sue vicende peccavano di imprecisioni volute, autoassolutorie e narcisistiche. Alla Broggini, presente, ho contestato non la serietà della ricerca ma il suo impianto. Non una rievocazione e una narrazione, ma una requisitoria tendente a dimostrare la colpevolezza dell’imputato.
Successivamente ho letto sul Corriere della Sera d’un libro che Joachim Castan ha dedicato a Manfred von Richthofen, il famoso asso della caccia tedesca nella Prima guerra mondiale. Chi era Richthofen? Questa la risposta: «Un uomo sfiduciato, che coltivava il gusto di uccidere». Confesso di non provare gran voglia di leggere il libro (Il Barone Rosso), per ora pubblicato solo in tedesco (se ne discuterà nel festival «è Storia» di Gorizia, in programma dal 15 al 18 maggio). Mi ha tutta l’aria di essere un libro a tesi.
Opinione confermata dalle pagine introduttive. «Il mito di Richthofen è sostanzialmente un’idea escogitata dal comando supremo tedesco nel 1917. In un frangente di guerra stagnante, in cui non si annunciavano vittorie, apparve opportuno presentare Richthofen come un raggiante trionfatore». Dunque il leggendario Barone rosso, caduto il 21 aprile 1918, era un’invenzione mediatica, più o meno come i protagonisti del Grande Fratello? Mi riesce difficile crederlo, visto che von Richthofen in prima persona, e senza alcun aiuto dei propagandisti di Guglielmo II, ha abbattuto 80 (diconsi ottanta) aerei nemici. Diventando l’asso degli assi. L’isolamento, se si vuole anche la timidezza dell’eroe, non è un elemento negativo, anzi. Nell’ottobre del 1917 il Barone rosso presagiva la sconfitta, era triste. «Mi sento frustrato dopo ogni combattimento aereo... Penso che è veramente così, non come la gente in Patria si immagina con esaltazione e grida: è tutto più drammatico e amaro».
Salvate il soldato Montanelli. Salvate il soldato Richthofen. Salvate i protagonisti positivi della storia che un certo bastiancontrarismo vuole sfrondare d’ogni alloro: cosicché Cavour è un intrigante fortunato, Garibaldi un cialtrone, e Bixio un volgare macellaio. Non salvate, invece, i reprobi che lo sono meritatamente, e che pure ogni tanto vengono volonterosamente riscattati dal revisionista di turno.

Nerone non era un valente cantautore diffamato dai cristiani, e Papa Alessandro VI non era un caritatevole pastore d’anime, a torto accusato d’ogni sorta di nefandezze. Lo so, il capovolgimento di accreditati luoghi comuni desta interesse, Vattimo docet. Ma quando è fine a se stesso suona male. Peggio ancora se deriva - accade spesso - da faziosità politica.

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