La Sandrelli dirige la figlia in un Medioevo tutto in rosa

RomaPantera grigia all’attacco numero due (dopo l’inglese Helen Mirren, 63 anni, e prima del botto finale con l’immarcescibile Meryl Streep), l’ancora gradevole Stefania Sandrelli, viareggina classe ’46, ieri ha stupito il festival nella sua veste di regista esordiente. Confessiamolo: eravamo prevenuti su Christine Cristina, presentato fuori concorso e in odore di cinefamilismo romano. Dato che la protagonista di questa ballatetta medievale è Amanda Sandrelli, figlia di Stefania e di Gino Paoli, mentre il compagno della regista, Giovanni Soldati (figlio dello scrittore Mario), firma insieme a lei la pellicola (costata due milioni e mezzo di euro, con il contributo del ministero dei Beni Culturali e della Lazio Film Commission), intanto che il genero di Stefania, Blas Roca Rey, figura lui pure nel cast forte di rodati attori di prosa, da Alessandro Haber a Roberto Herlitzka e Alessio Boni.
Ma, al di là dei pregiudizi, stavolta cuore d’artista batte cuore di mamma uno a zero. Lei, poi, la Sandrelli dei grandi set negli anni d’oro persi per sempre (Germi, Bertolucci, Scola, Monicelli), ricaccia indietro i lucciconi raccontando come è stata dalla figura di Cristina da Pizzano, letterata e nobildonna decaduta, sullo sfondo del Medioevo franco-italiano. «Cercavo libri da regalare per Natale e ho trovato una biografia di Regine Pernoud su Cristina da Pizzano. E siccome, da scimmietta fiutatrice, ho annusato una storia fantastica, mi ci sono immedesimata. Volevo frugare da dove veniamo, noi donne», spiega la debuttante, che interpreterà «una sindachessa buffa d’un paesino toscano», pronta a ricattare un poveretto per una multa, nell’erigendo film di Carlo Mazzacurati La passione.
Sul cinema Stefania ha idee chiare e condivisibili, come dimostra dichiarando, da spettatrice incallita qual è, di saltare a piè pari i film troppo lunghi (allude alle due e ore e quaranta di Baarìa, da lei schivate sulla soglia del cinema sotto casa) e di amare invece «le cose piccole come Christine, che si descrive “tenerella” e “buffetta”». Rivedendo il «girato» dietro le quinte della sua pellicola, Stefania si è chiesta chi fosse «quella pazza scalmanata» sul set (cioè lei, col megafono), non riconoscendosi dunque «direttrice d’orchestra» quanto «direttrice d’una banda», in grado d’usare «un set riciclato d’un vecchio San Francesco tivù» e interessata «ad avere un tempo sospeso, per poterlo riempire, quadruccio dopo quadruccio».
E in effetti l’impressione d’un che di scolastico, nel film tuttavia retto da una sceneggiatura di Furio Scarpelli, Marco Tiberi e Stefania Sandrelli, circola. Gli straccioni come da copione, la dizione romanesca, le ambientazioni pizza-e-fichi da film tutto regionale (eccetto una ballata di Sting), confermano l’aspirazione domestica di Stefania, tesa a «un filmettino, che io stessa avrei voluto vedere». E la figlia Amanda, che, priva di trucco e abbigliata come si conviene a una vedova priva di mezzi (ma non di abilità letterarie), ha avuto qualche difficoltà a farsi dirigere dalla madre? «Mi faceva strano che la regista fosse mia madre, ma la Sandrelli, nella sua leggerezza, è una donna molto concreta. Avendo esperienza di teatro, mi son sentita dentro un meccanismo corale.

Essendo complicatuccia di carattere, ci ho tenuto a servire bene la regista», spiega Amanda, che onestamente disegna la figurina d’una femminista ante litteram, felice di mantenere i suoi due figli scrivendo versi e poemi.

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