Sanità lombarda, il modello leader: 8 euro su 10 alle strutture pubbliche

Non esiste il tesoretto da un miliardo "collegato agli amici". Tutto destinato agli ospedali

È un miliardo. Un miliardo l’anno sui diciassette a bilancio della sanità lombarda. Da anni quando si parla del sistema Formigoni si collega quel tesoretto «ai soliti noti»: dalla Fondazione Maugeri al San Raffaele. Bersagli fissi delle ultime indagini. Come se fossero loro, soprattutto loro, i privilegiati amici del Celeste, a spartirsi quel gruzzolo che esce inesauribile dalle casse del Pirellone. E viene alimentato, malignano i critici, nella penombra dei corridoi dietro l’esile foglia di fico di una giustificazione da nouvelle vague: funzioni non tariffabili. Come dire, tutto e niente. Le cose non stanno così anche se pochi si prendono la briga di leggere le tabelle e le cifre disponibili.

I numeri dicono che in testa a questo corposo capitolo di spesa viaggiano, non ora ma da dieci anni, due colossi della sanità pubblica: l’Azienda ospedaliera di Brescia e Niguarda. La Fondazione San Raffaele sta al terzo posto, davanti all’Azienda ospedaliera di Varese, al San Matteo di Pavia e al Policlinico di Milano. La Maugeri è più indietro, all’undicesimo posto. Brescia ha portato a casa, fra il 2002 e il 2010, qualcosa come 458 milioni e 778.966 euro. Cinquantacinque milioni in più di Niguarda che è a 400 milioni e spiccioli, con un vantaggio di circa 100 milioni sul San Raffaele che è a 357 milioni.

Non c’è da meravigliarsi perché le funzioni non tariffabili, al di là delle voci e di vere e proprie leggende metropolitane che ne fanno una specie di capitolo occulto della contabilità formigoniana, sono rigidamente disciplinate. Certo, questa voce copre costi che non possono essere calcolati con i tradizionali parametri, buoni una volta per tutte. Le funzioni non tariffabili sono appunto quelle che non possono essere classificate, come si fa in un compito di ragioneria, ma questo non significa che siano il regno della creatività e di una discrezionalità opaca. L’elenco, noiosissimo e chilometrico, delle attività che finiscono in questo calderone esiste e smentisce chi parte da qui per andare all’attacco della presunta deregulation formigoniana: quella che darebbe una spinta, e che spinta, ai privati, meglio se sponsorizzati da qualche leader ciellino o da tonache disinvolte, ben inserite negli ingranaggi della macchina regionale. Falso.

La lista delle funzioni non tariffabili è un mare magnum che comprende i trapianti d’organo, i centri antiveleni, il centro grandi ustioni, perfino la banca delle cornee e l’assistenza in terapia intensiva di neonati con peso inferiore ai 1500 grammi. Insomma, realtà diversissime che è difficile se non impossibile imbrigliare in tariffe fisse, bloccate al centesimo. Perfetto, solo che questo rubinetto porta finanziamenti soprattutto al pubblico.

Potrà sembrare un paradosso, ma il luogo comune della sanità appaltata a privati furbetti non regge e questo dato lo si può catturare entrando proprio nel sancta sanctorum del salvadanaio regionale. Anche la classifica del 2010, ultimo anno disponibile, conferma il trend già descritto, sia pure con qualche aggiustamento: Brescia ha portato a casa 52 milioni e 833.000 euro, Niguarda è sceso a trenta ed è stato scavalcato dal San Raffaele, ma anche da Varese, dal Policlinico e perfino da Como che per le funzioni aggiuntive ha ricevuto quasi 32 milioni di euro.
Il dato più impressionante è però quello complessivo: su 994 milioni e 733mila euro distribuiti alla mangiatoia delle funzioni non tariffabili nel 2010, ben 805 e 672 mila, pari all’81 per cento delle risorse, sono finiti nelle tasche degli ospedali pubblici. Ai privati, per quanto possa sembrare sorprendente, sono toccate le briciole. O poco più: meno di centonovanta milioni, pari al 19 per cento del «bottino». Numeri e percentuali sono perfettamente rovesciati rispetto a quel che saggisti, politici, esperti vari continuano a ripetere come un mantra: la Lombardia di Formigoni è il regno del business e del profitto senza scrupoli. Anticamera delle mazzette. Sarà pure così, ma le tabelle ci offrono una narrazione, per usare un vocabolo à la page, lontanissima.

Certo, l’astronomica parcella di Daccò, 70 milioni per dare una mano alla Maugeri, autorizza pensieri cupi e retropensieri da codice penale. E perché mai Daccò aveva intascato altri sette milioni per seguire gli affari del San Raffaele? Anche su questo versante, però, bisogna stare attenti prima di puntare il dito contro i grattacieli del potere formigoniano.

Il codice civile è chiaro: la vigilanza sulle fondazioni - come il San Raffaele e la Maugeri, crocevia di molte indagini - non spetta alla Regione ma all’autorità governativa. In altre parole, al prefetto che, secondo l’articolo 25, può perfino commissariare l’ente che non rispetta le regole. E, invece, ora sono in tanti a voler buttare giù Formigoni.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica