La sanità Usa e la bufala delle cure pagate «cash»

Caro Granzotto, lo scandalo della clinica Santa Rita di Milano ha sollevato il coperchio del pentolone della Sanità e il minestrone che c’è dentro non è certo sopraffino. Il «sistema» Santa Rita sembra, a quanto si legge, piuttosto generalizzato. Mi riferisco alla pratica di privilegiare gli interventi che ricevono dalle regioni un rimborso più alto o di praticare, sempre a quel fine, interventi non necessari (come parti cesarei più redditizi di quelli naturali, quindi praticati anche quando non serve). Un’inchiesta del «Giornale» metteva in luce che l’industria farmaceutica riserva la maggioranza dei fondi per la ricerca allo studio di farmaci per malattie croniche. Perché rendono di più, dovendo il paziente assumerle a vita, di quelle destinate ai mali passeggeri. In sintesi, in barba al giuramento di Ippocrate, la salute è ormai un business, come insegnano gli Stati Uniti, e a rimetterci è il paziente. Ma non c’è modo di salvare capra (il paziente) e cavoli (il guadagno)?


Ma perché dà per scontato che il sistema sanitario americano sia quanto di peggio? Mi scusi, caro Masotti, ma non crederà alla balla che negli Stati Uniti le cure mediche sono carissime e vanno pagate in contanti, per cui se uno non ha i soldi crepa sul marciapiede. Anche da noi le cure mediche (come ben sapevano alla Santa Rita) sono carissime. Anche da noi vanno pagate se non in contanti, pronta cassa. La differenza sta nel fatto che da noi le paga lo Stato con i soldi che trattiene sulla busta paga di ogni lavoratore. In America le pagano le assicurazioni col danaro dei versamenti, dei premi versati dai clienti. La differenza è dunque che da noi il cittadino è obbligato a premunirsi. Negli Stati Uniti è libero di farlo e di scegliersi il «servizio» che più gli conviene. Naturalmente ci sono americani che preferiscono acquistare una Porsche piuttosto che pagare la rata dell’assicurazione. E americani disoccupati, poveri in canna. A costoro vengono in aiuto il «Medicaid», ente statale che garantisce l’assistenza agli indigenti e il «Medicare», riservato agli anziani. Ovvio che le prestazioni offerte dai due istituti sono, chiamiamole così, «di base», niente a che vedere con quelle garantite da una buona (e cara) assicurazione. Ma non inferiori a quelle di uno dei tanti ospedali italiani che alimentano l’inesauribile capitolo della nostra malasanità. Sorci in camera operatoria compresi.
C’è da aggiungere che oltreoceano il «sistema Santa Rita» è difficile che attecchisca. Le compagnie di assicurazione sono tradizionalmente attente alla lira e i loro ispettori non si fanno certo prendere per il naso: un’operazione che risultasse non necessaria (un cesareo, mettiamo) è sicuro che non gliela danno per buona. Lo stesso discorso vale per il paziente: per certi interventi e certe complesse analisi l’assicurazione pretende, in genere, un sovrappiù. Che il paziente è disposto a versare solo se l’intervento fosse davvero inevitabile e indispensabili quelle analisi. Intendiamoci, in teoria anche le nostre strutture sanitarie sono sottoposte a controlli e a vigilanza, ma quando si tratta di spendere lo Stato è tradizionalmente meno attento, meno scrupoloso di un privato.

Il rimborso per dodici risonanze magnetiche ingiustificate o per venti immotivati parti cesarei si perde nel mare magnum dei 94 miliardi di costi del Servizio sanitario nazionale, ma rappresenta una voce non del tutto irrilevante nel bilancio di una impresa privata. Il marcio della nostra Sanità, caro Masotti, non è il «sistema Santa Rita», ma che a quel sistema sia concesso di realizzarsi impunemente. Tutto qui.

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