SANTUARI La culla dei miracoli

Nella cappellina un piccolo paralitico cammina...

SANTUARI La culla dei miracoli

La fede è come il vento, leggera, corre dove crede che si possa rinnovare il miracolo dei pani e dei pesci. Il popolo non è mai cambiato, anzi, in questo momento storico accorre in ogni luogo nel quale una veggente ha visto la Madonna. O dove la statua della Madonnina ha pianto sangue. Oggi più di ieri c’è un bisogno di protezione, di divino, di miracoli. Dunque più di ieri, fortissimamente. È così palpabile la necessità di affidarsi a Colui o Colei che più di ogni amico o falso amico ti allarga la mente e il cuore, che la fede, e quindi chi ha fede, vorrebbe erigere un nuovo santuario al giorno da aggiungersi alle oltre 450 mete religiose del nostro Paese.
La fede certo basta da sola a credere nei miracoli, ma per essere accettati, riconosciuti dalla Chiesa e dalle sue gerarchie servono prove, «fatti». La Chiesa ha bisogno di tempo. Non giudica attraverso processi indiziari. La sua non può essere che una giustizia rispettosa: dell’uomo e del divino.
Anche io fin da bambino, nelle processioni di donne vestite di nero, ho sgranato gli occhi a santa Rita da Cascia, nella fenditura della Montagna Spaccata, a Loreto, al Divino Amore, sul Sacro Monte di Varallo, dentro la grotta dell’unico e vero eroe della mia infanzia: Michele l’Arcangelo. Anche io mi sono inginocchiato a Lourdes. In quella grotticina tempestata di tante stampelle pronte a difenderci da Satana. E ancora vado correndo dietro a don Paolo, il mio amico esorcista, perché mi porti con sé a Fatima, a Santiago de Compostela, a Gerusalemme... Intanto in questi anni ho voluto toccare con mano anche quei luoghi di fede assunti a santuari dal popolo, ma ancora soggetti ad attenta analisi da parte delle autorità. Così sono andato in visita a Civitavecchia. Ho sostato ore dinanzi al cancello dei proprietari della statuina piangente. Ho visto le macchioline come emazie scolorate sul volto della Madonnina... Poi sono passato dalla veggente di Manduria,Debora, che racconta di avere ricevuto le stimmate e di parlare con la Madonna annunciata da «tre globi luminosi», da più di quindici anni. La ragazza che ha combattuto furiosamente con il Maligno. E alla quale sono apparsi: Gesù, san Francesco e padre Pio.
Del Bambino Gesù, invece, apparso per la prima volta alla signora Giuseppina nel 1947, quando lei aveva sette anni, a Gallinaro in provincia di Frosinone, non ne sapevo niente. Anzi, mi aveva accennato la cosa una mia zia che lo aveva appreso da una sua vecchia sorella che sa tutto di santuari. La zia mi raccontava di una «isola bianca». Di questo luogo frequentatissimo ma ancora schermato dallo scetticismo del clero. Poi mi ha messo sotto il naso la notizia riportata da due settimanali nel mese di aprile scorso... Così ho letto di un bambino foggiano affetto da una grave malattia motoria e della vista. All’improvviso, dinanzi alla cappelletta di Gesù a Gallinaro, il bambino pretende di essere liberato dalle braccia del cugino per andare in direzione del bosco dove grida di riconoscere Gesù con la veste bianca e il capo cinto di spine. Da quel momento (così pure dalle dichiarazione dei medici) Giovanni Pio Di Fiore, detto Gianni, sei anni, cammina meglio, vede meglio. Addirittura va in bicicletta. Ma la cosa curiosa, sorprendente è che questo «miracolo» si è compiuto esattamente 60 anni dopo la prima apparizione di Gesù Bambino a Giuseppina Norcia. Così, anche stavolta, non potevo che replicare una infanzia di occhi spalancati e di pellegrinaggi, infatti, in compagnia di altri cinque pellegrini sono partito per Gallinaro: prima sulla Roma-Napoli, poi direzione Sora, fiume Liri, e ancora dentro tra il Parco Nazionale d’Abruzzo e di fronte i monti del Matese, tra le abbazie di Casamari, Trisulti e Montecassino e le antiche cittadelle di Alvito e Atina. Intanto, per strada, con i pellegrini ci raccontavamo cosa era accaduto.
Nel 1947, due giorni prima della Comunione, Giuseppina a un tratto, sullo spiazzo di casa, vide scendere dal cielo una «nuvoletta soffice e luminosa» sulla quale era adagiato un bambino di «sovrumana bellezza»: era Gesù. Poi, nel 1974, Giuseppina Norcia, ormai adulta, e questa volta malata gravemente, fu investita da una «vivissima luce che invase tutta la sua stanza». Comparvero Gesù, la Madonna e san Michele Arcangelo. Ma Gesù non era più bambino, ora appariva alla donna da adulto e da «lui emanava un profumo di Paradiso». I tre l’avvertirono che avrebbe dovuto combattere contro la «brutta bestia» e le raccomandarono che il demonio si sconfigge soltanto con la preghiera e il rosario. Comunque fu nel 1975 che Gesù, apparso di nuovo, confidò a Giuseppina un «grande segreto» da svelarsi, però, quando Egli stesso l’avrebbe permesso. E fu anche allora che le chiese, dopo averle tracciato in cielo una freccia che indicava esattamente il punto, di costruire una «culla», cioè una chiesetta per pregare insieme. Così fu fatto. Da allora qui, ai piedi del Bambino, ci si inginocchia e si prega.
Noto che il monte Canneto è più in basso, invece sul monte Meda c’è la neve. Procedo in auto e mi accorgo che tutto è immerso in una normalità sconcertante. Poche case disseminate lungo la strada e tra le vallate e i monti. Comunque, per via dei pellegrini che negli ultimi anni sono arrivati in grande numero, un qualche commercio si è avviato: un baretto, una pizzeria, un soggiorno per anziani e uno scheletro di cemento che pare un enorme bunker dell’ultima guerra. In un attimo precipito su uno stradone lastricato di fresco per noi pellegrini e raggiungo un lembo di terra che è una specie di cortile domestico e che ormai tutti chiamano «l’isola bianca».
Ecco allora la chiesuola di Giuseppina. Una decina di fedeli si accalcano all’ingresso. Pregano. Decido di scavalcarne alcuni, così posso osservare l’interno. Su una grande e soffice nuvola o culla di tulle bianco è adagiato il Bambino Gesù. È lo stesso del presepe. Non c’è nessun altare,le pareti della chiesetta sono affrescate con la storia delle apparizioni. Giuseppina bambina, Gesù, la Madonna e l’Arcangelo svettano tra queste montagne tempestate di paesi e città volsche e sannite. Sul sagrato, intanto, sedici persone si sono accomodate sulle panchine, mentre altrettante restano in piedi a puntare la montagnola di stoffa bianca. Pregano tutti. Mi rendo conto che l’atmosfera che si respira è ancora più semplice di quella che trovai a Civitavecchia anni fa. Poi, ossessionato dal polline e dalle polveri, faccio scivolare l’indice e il medio sui segmenti della panchina. Non faccio in tempo a concludere le operazioni di pulizia, che una signora con in mano il rosario mi intima: «Qua non è sporco. Non c’è polvere». Noto che la donna è una delle tre che alimentano il rosario.
Seduto, cerco di capire se Giuseppina la veggente, come dicono, apparirà uscendo dalla porta di quella casettina bianca attaccata alla chiesetta che sembra una sacrestia, oppure si affaccerà da quella finestrella alla sinistra della cappella dove spicca su una targa di marmo la scritta: «Non si accettano offerte». E sotto, su una lapide più grande, tutta la storia di Giuseppina. Allora cerco di informarmi. Dopo vari conciliaboli mi giunge la voce che: «Giuseppina non riceve più». Allora mi alzo dalla panchina e, fatti tre passi, mi metto pure io a cercare il volto di Cristo che pare si disegni su questa porta di pino russo verniciata a coppale sul retro della chiesa. Con me è la pellegrina più giovane. Lei lo ha già individuato, anche perché è una fanatica del metodo Gestalt (sapete di quelle figure o profili che possono trasformarsi a seconda di come e da dove si vedono in altre figure o profili o volti?). Insomma, in un nodo della porta di pino, grande mezzo centimetro quadrato, la pellegrina mi mette in testa che quei due buchetti sono occhi, che quelle abrasioni sono barba: dunque ecco il volto di Cristo, come se la sua potenza dovesse esprimersi con il metodo Gestalt! È ovvio che ciò lo penso ma non lo dico. Non dico che in quel francobollo il quale rassomiglia più a un Mosè adirato piuttosto che al Gesù del perdono, si concentrano tante e tante attese. Necessità di risposte. In nome, come in una infanzia seriale, di verità.
La signora autoritaria che poco fa mi ha gelato dicendomi che qui non esiste la polvere, ora mi scambia per un sacerdote. Uno di quei preti, magari, che non vogliono accettare subito, ora, che questa «isola bianca» è luogo di miracoli. Me lo raccontano i miei pellegrini. «La signora dice che sei un prete. Non si sbaglia per via della tua fronte alta».
Ma la signora si sbaglia se pensa che io non voglia credere ai miracoli. Anzi. Sono qui per accettare ogni cosa.

E se da ragazzo avessi voluto farmi prete a questo punto sarei cardinale. Anche questi sono pensieri che non riferisco, mentre mi accorgo che altri gruppi di pellegrini cantando e con gli stendardi eretti procedono sulla discesa.
(17. Continua)

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