Come alla Sapienza Bagnasco a scuola? No di mamme e prof

Scoppia la protesta per la lezione dell’arcivescovo di Genova in una media di Pieve Ligure

Come alla Sapienza Bagnasco a scuola? No di mamme e prof

da Genova

Essere alle scuole medie e sentirsi già all’Università. Alla Sapienza, magari. I ragazzi non c’entrano, i prof un po’ di più, i genitori tanto. Pieve Ligure fa comune a sé, nella periferia chic a levante di Genova. E «cacciare» da scuola il cardinale Angelo Bagnasco, il presidente della Cei fa ancora più chic. Così ci provano qualche mamma e qualche papà, trovano sponda in un paio di insegnanti e la giusta dose di timore nella preside. Scrivono una lettera, per dare una «lezione» alla direttrice dell’istituto, per dire che non sono ammesse «celebrazioni di carattere confessionale in scuole pubbliche statali che comportino la modifica del normale svolgimento delle lezioni». E pazienza se la citazione c’entra come Topolino nei «Promessi Sposi», se il cardinale Bagnasco non si sarebbe mai presentato con calice e pisside per dire Messa, ma solo per incontrare i ragazzi durante la sua visita pastorale nella zona. Loro, genitori e insegnanti ribelli, il loro scopo l’hanno ottenuto. Anzi, per poco non arrivano al «bersaglio grosso». Perché la preside, Vanda Roveda, preferisce chiedere una decisione al consiglio di istituto, in extremis infila la questione all’ordine del giorno, e quella che era solo una lettera scritta per vedere l’effetto che fa, senza neppure firme autografe ma solo qualche nome stampato dal computer in calce alla missiva, viene discussa tra insegnanti e rappresentanti di genitori e ragazzi. La preside è pronta a chiamare in Curia per dire di fermare tutto, per chiedere a Bagnasco di evitare di far visita domani alla scuola.
Il risultato? Tutti sì alla visita del cardinale, un solo astenuto. Nessuno si oppone. Anche se in coda la direttrice dell’istituto dà una lettura più «morbida» della scelta, quasi a non voler condannare la protesta: «Alla fine abbiamo pensato che rifiutando l’incontro saremmo passati dalla parte del torto». Una soluzione di compromesso, che però non sposta la sostanza: ora ci sono anche tutti i crismi della democrazia, tanto più che nessuno studente è obbligato ad assistere all’incontro con l’arcivescovo di Genova, chi vuole può restare in classe a studiare. Sui genitori piove un coro di critiche. Anche il sindaco Adolfo Olcese parla di «segnale di chiusura di cui non c’era bisogno». Monsignor Bagnasco non interviene e si prepara a rendere visita ai ragazzi, mentre don Silvio Grilli, vicario della zona e direttore del settimanale della Curia, Il Cittadino, non infierisce: «So del dissenso di alcuni genitori e insegnanti - si limita a osservare -. Mi sembra che le famiglie debbano avere massima libertà educativa e decidere se accettare o no l’invito a questo incontro».
Anche gli autori della protesta, alla fine, scelgono di non estremizzare lo scontro. I loro figli, quelli che già non frequentano le ore di religione, non saranno presenti domani nell’aula in cui il cardinale saluterà gli studenti. Ma non saranno neppure in piazza, con striscioni e cori di protesta per accogliere il presidente della Cei come sarebbe accaduto alla Sapienza di Roma per il Papa. «Nessun’altra manifestazione di contrarietà all’iniziativa», assicura Carla Scarsi, a nome degli altri genitori.
Il clima a Genova è già abbastanza teso. Soprattutto a poche settimane dalla visita di Papa Benedetto XVI. In città si moltiplicano gli attacchi e le scritte sui muri contro l’arrivo del Pontefice. E l’ultimo episodio risale a poche notti fa. Verso le 2 di sabato mattina un paio di ragazzi sono stati sorpresi dai carabinieri a vergare frasi offensive e minacciose nei confronti del Papa e della polizia. Uno di loro, già noto alle forze dell’ordine, è il figlio di un ex assessore della giunta genovese di Giuseppe Pericu. Entrambi denunciati, avevano rispolverato vecchi slogan come «Trema celerino, trema poliziotto, stanno tornando le P38» e «Morte al Papa», firmandoli con i simboli di autonomia operaia e con falce e martello.

Ma la vera «firma» sono gli errori di ortografia contenuti nelle scritte, come la doppia «z» nella parola «poliziotti» e l’accento su «Papa». Di certo non avevano «perso» ore di scuola ad ascoltare i discorsi degli arcivescovi.

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