Paolo Giordano
da Milano
E allora lui, Dave Gahan, si presenta così sul palco, quasi nascondendo gli occhi, vestito in giacca come sempre e come sempre very glamour, mentre le luci si infiammano e il pubblico lo afferra per trascinarlo muggendo fino al microfono. Buonasera, good evening Milan, ecco il nostro biglietto da visita: A pain that Im used to, un dolore cui sono abituato (dal nuovo ciddì Playing the angel), e la voce si libera subito dalle grinfie della chitarra paranoide e muscolosa perché è il suono della sofferenza e le parole sono solo la medicina da prendere. I Depeche Mode hanno venticinque anni tondi e chi può se li ricorda coi capelli cotonati e i faccini candidi e inglesi, mentre la musica era new romantic e bisognava sciogliersi nelle tastiere zuccherose, nei ritmi laccati, e mescolarsi allottimismo operaio per capire che cera la new wave, cioè la nuova ondata che asfissiava il punk e lonanismo progressive ormai pronti per Madame Tussauds, per il museo delle cere. E qui stasera, in un Forum tutto straesaurito da mesi, si capisce perché Martin Gore, quello là alle tastiere con i capelli slavati e i gesti da maestrino, non ci pensò due volte in un localaccio di Basildon nellEssex a prendersi sottobraccio Dave Gahan e tesserarlo seduta stante per la «moda prêt-à-porter», cioè per i Depeche Mode. Stava cantando, questo ragazzino sempre triste, una versione stralunata di Heroes di Bowie con un gruppetto di dopolavoristi e lo faceva con gli stessi guizzi oscuri di stasera, mentre incastra la nuova John the Revelator con la vecchia A question of time, e beati voi se sapete decifrarli. Dave Gahan è una star per virtù imponderabile, muove il bacino a tempo con il cuore del pubblico e neppure quando in Behind the wheel si blocca allimprovviso con lasta del microfono in mano, il battito del concerto perde ritmo. È lelettropop, signori, il miscuglio decadente tra chitarre asburgiche e marziali e tastiere liquide vestite a sera, ingioiellate. Ed è vivo ancor oggi (tra laltro stasera i Depeche Mode registrano un dvd in uscita a ottobre) perché si è disseminato in tutte le direzioni senza cambiarsi i connotati e quando, nel boato dei dodicimila, sul palco che sembra unastronave spunta anche una sfera volante, la canzone che laccompagna potrebbe avere ventanni o venti giorni: è «Precious», e solo per caso è nellultimo ciddì. Poi I feel you. Poi Personal Jesus. Ed Enjoy the silence, goditi il silenzio, che è la loro medicina disperata e mai presa. Servì, nel 1990, ai Depeche Mode per sdoganarsi negli Stati Uniti e a Dave Gahan per inciampare nella depressione tossica. Il suo cuore si è fermato due volte, la prima davanti a tutti, dopo un concerto del 93 a New Orleans, e la seconda solo davanti alla coscienza, nel 96, dopo una devastante overdose di eroina e cocaina che avrebbe ucciso, dissero i medici, anche un cavallo. E allora ecco perché lui, il cantante dei Depeche Mode che vogliono essere «i Rolling Stones del Duemila», è una popstar pur non facendo nulla per esserlo se non indossar vestiti aderenti e occhiali panoramici. Ha sofferto, ecco, si è rotolato nelle angosce, nei crepacci esistenziali che in Walking in my shoes - stasera strepitosa - lui riassume dicendo «prima di tirare qualsiasi conclusione provate a camminare nelle mie scarpe». Il Forum lo fa, eccome, guardando i sei megaschermi illuminarsi in un rito che ha i colori della festa, le nuances della nostalgia, e il ritmo che non puoi star fermo. In Behind the wheel cè il brivido, in World my eyes il sospiro quasi techno.
«Saremo gli Stones del Duemila» Entusiasma il lato oscuro del pop
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