ParigiLa Francia politica è in ebollizione per la decisione del presidente Nicolas Sarkozy di imporre, in nome dell'ecologia, una nuova tassa sui carburanti, sul gasolio per riscaldamento, sul gas e su tutto quanto produce emissioni gassose contenenti carbonio. Tanto per fare un esempio, la benzina e il gasolio ai distributori aumenteranno probabilmente di quattro o cinque centesimi al litro.
Benché l'Eliseo abbia stabilito un livello d'imposizione fiscale relativamente basso (17 euro per ogni tonnellata di carbonio emesso), la «carbon tax» alla francese potrebbe rivelarsi una mazzata economica in tempi di recessione o comunque di grosse difficoltà sul fronte dei consumi e della produzione. A differenza di tutte (o quasi) le altre tasse, quella sulle emissioni di carbonio - effettuate da qualsiasi genere di veicolo, caldaia, impianto industriale o altro macchinario - non dovrebbe servire al nutrimento delle pubbliche casse. Sarkozy giura ai connazionali che il futuro prelievo (destinato a entrare in vigore nel 2010) avrà una componente educativa e redistributiva. Sarà insomma una Robin Hood tax in salsa verde, destinata a succhiare risorse ai cattivi (ossia agli inquinatori) per ricompensare l'opera dei buoni, ossia (ad esempio) coloro che costruiscono nuove case in base a rigorosi principi di risparmio energetico e di ricorso alle fonti rinnovabili. Nel campo delle auto, dovrebbe rafforzarsi la tendenza a super tassare le più inquinanti per compensare gli ulteriori sgravi fiscali a vantaggio delle più pulite.
Sullo sfondo della carbon tax alla francese c'è un impegno assunto da Sarkozy (come dai suoi principali rivali) in vista delle elezioni presidenziali del maggio 2007: inasprire la tassazione sui gas suscettibili di produrre l'effetto serra. Anche Ségolène Royal, la socialista che si contrappose a Sarkozy al ballottaggio presidenziale, assunse allora quell'impegno, ma adesso si oppone alla carbon tax. Dice che Sarkozy ha messo in moto un provvedimento che rischia di penalizzare soprattutto i meno abbienti. La Royal è tuttavia sconfessata da Martine Aubry, segretaria del suo stesso partito, che nella futura tassa coglie importanti elementi di novità, anche se critica il modo in cui Sarkozy sta attuandola: bisognerebbe far pagare di più i ricchi e lasciar tranquilli i poveracci.
I sindacati sono divisi. La Cfdt (una sorta di Cisl alla francese) vede di buon occhio l'iniziativa dell'Eliseo, mentre la filocomunista Cgt è molto critica. Gli imprenditori sono perplessi. Temono una distorsione della concorrenza europea a scapito delle imprese francesi. Qualcuno vede nella nuova tassa una ragione in più per investire all'estero.
I soli a cantar vittoria sono gli ecologisti. Una curiosa stirpe di verdi alla francese, rassegnatisi all'idea di una società iper-nucleare, grazie alla quale possono permettersi il lusso della futura carbon tax. Ben difficilmente, infatti, un grande Paese industrializzato come la Francia sarebbe in grado di tassare, anche se a un livello relativamente basso, le emissioni di carbonio se la sua produzione di energia elettrica non fosse figlia degli impianti atomici (all'80 per cento circa) e di quelli idrici (al 10 per cento circa).
La filosofia della carbon tax francese è profondamente filonucleare e si basa sulla totale rinuncia a inasprire la tassazione sull'elettricità, proprio perché è quasi completamente figlia delle 58 centrali atomiche in funzione nel Paese. Il risultato è che - per esempio nel caso del riscaldamento domestico - aumenterà il numero degli appartamenti riscaldati dall'elettricità piuttosto che da gas e gasolio.
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