Sartori, ogni Ferragosto lo stesso pezzo (sbagliato)

Puntuale come un’influenza marzolina, ogni Ferragosto il Corsera pubblica come fondo di prima pagina l’articolo del politologo Giovanni Sartori. Non un articolo, ma l’articolo: sempre lo stesso, ogni Ferragosto di ogni anno. Quest’anno è lo stesso Sartori ad ammetterlo: «Chi la dura la vince», declama. La dura su cosa e vince cosa è il tema monotono del pezzo: il clima cambia e la colpa è dell’uomo, il quale ha anche la colpa, ancora più grande, di far figli; e la responsabilità morale è di Bush e di Berlusconi, in ordine al primo crimine, del Vaticano in ordine al secondo crimine. Siccome anche Sartori ha una faccia, di anno in anno inserisce qualche elemento di novità nelle idee testé enunciate. La novità di quest’anno è la manifestazione di ammirazione verso Obama, che avrebbe fatto approvare dal Senato americano la riduzione delle emissioni di CO2 dell’83% entro il 2050. Almeno così ci informa l’insigne politologo.

In effetti, un mio carissimo amico d’infanzia, politologo egli stesso e che conosce bene Sartori, mi ha assicurato che è, questi, un raffinatissimo politologo, cosa di cui non ho ragione di dubitare. Tuttavia mi chiedo perché mai, per la mancata adesione americana al protocollo di Kyoto, un raffinatissimo politologo se la debba prendere con Bush quando questi altro non fece che democraticamente ottemperare alle decisioni del Senato americano, il quale, a sua volta, aveva approvato all’unanimità (95 a zero) - peraltro nel 1997, in piena amministrazione Clinton (con Al Gore suo vice) - la non sottoscrizione di quello sciocco protocollo. Né si capisce perché mai un raffinatissimo politologo se la debba prendere con Berlusconi il cui governo, nel 2001, quel protocollo sottoscrisse. Torniamo a Obama.

Asteniamoci dalla seconda cifra di quell’83%, fiduciosi che ben altre penne, a cominciare da quella del mai sufficientemente apprezzato Paolo Granzotto, sapranno metterne in evidenza l’aspetto esilarante, e limitiamoci all’aritmetica. Molti politici, abbiamo più volte appurato, ne masticano poca, e ancor meno ne digeriscono, e Obama non deve essere da meno: quando si predispone per un obiettivo posto a 42 anni di distanza, commette egli l’errore di ritenere che, per allora, tutti si saranno di lui dimenticati. Ma sull’aritmetica inciampa anche il nostro politologo (i cui pensieri, comunque, non sono sfiorati neanche da quell’apparente vacuità di impegni con 42 anni di scadenza). Veniamo al punto. Il punto è che non è necessario attendere 42 anni per verificare che quelle promesse vengano mantenute e che non è lecito ritenere che Obama ha fatto male i propri conti presumendo una durata troppo breve della propria vita politica. Infatti, il modo meno traumatico per raggiungere quel fantasioso obbiettivo è operare una riduzione a ritmo costante delle emissioni. Invitiamo Sartori a farsi da solo l’aritmetica e trovare il valore di quel ritmo, ma lo aiutiamo fornendogli il risultato: 4.2% l’anno. Se l’America ridurrà le proprie emissioni del 4.2% l’anno, nel 2050 esse saranno pari al 17% delle odierne e l’obbiettivo di cui ci informa Sartori sarà stato raggiunto. Allora, non è necessario attendere 42 anni: già il prossimo Ferragosto Sartori potrà verificare se le emissioni americane saranno o no ridotte del 4.2%.

Ora voglio sbilanciarmi e me ne assumo la piena e personale responsabilità: io prevedo che no, le emissioni americane fra un anno saranno non solo non diminuite, ma addirittura aumentate; e agli americani auguro che io abbia ragione, perché quegli aumenti saranno la naturale conseguenza dell’arresto della recessione e della ripresa economica. Checché ne pensi Sartori, che continua a sproloquiare di catastrofi ecologiche, riscaldamento globale e simili amenità, con disquisizioni su distinzioni su meteo e clima, che sono, prima che noiose, errate. Come errate sono le concezioni che egli ha della scienza.

Perché, vede, professor Sartori, quando lei osserva che «la scienza non è mai unanime», col manifesto scopo di volersi parare dall’accusa che vi sono fior di scienziati che contraddicono le bizzarrie che lei propina ogni Ferragosto ai lettori del Corsera, non si rende conto che quell’osservazione, nel contesto del metodo scientifico, non ha neanche il pregio di essere falsa: essa è irrilevante.

La scienza - e con ciò intendo il metodo scientifico, professore - non è democratica, e non ha importanza alcuna quale sia il numero di scienziati che dicono una cosa, esattamente come non ha importanza alcuna quale sia, che so, il colore dei loro occhi. Nella scienza contano i fatti e, nel caso specifico, sic stantis rebus, l’uomo non ha influenza alcuna sul clima. Quando, e se, i fatti cambieranno, anche noi cambieremo idea. Promesso.

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