Sono stati oracoli di spietate aberrazioni e apologeti di dittature sanguinarie. Anche se hanno spesso avuto torto, unideologia plurisecolare dipinge i letterati come il «sale della terra», i paladini della giustizia e della moralità. E non importa che qualsiasi estetica abbiano promosso - tanto quella luciferina dei reazionari quanto quella rivoluzionaria dei militanti del «sol dell'avvenire» -, regalino alla fine non più che un ostentato campionario di compiacimenti e tare maniacali.
In questo bazar di fallimenti, la correttezza politica dellesercito dei moralizzatori del secondo Novecento ha tuttavia messo allindice solo chi si è fatto beffe delle democrazia: affollati repertori di geni malati arruolati nelle millenarie schiere della Tradizione. Incongrui, arbitrari, eticamente ripugnanti: quanti sono i demoni inattuali e morbosi, i sinistri fantasmi che agitano coi loro umori esagitati la fascinosa bandiera dellintolleranza, dellilliberalismo o del nichilismo? Quanti ne hanno censiti nel loro catasto di reprobi i chierici del progresso che si credono al servizio della libertà e della verità, i generosi produttori di idee che vivono e lottano per l'umanità?
Nel 1947, uno dei campioni del Bene, Jean Paul Sartre, pubblica un livoroso libello con cui demolisce Charles Baudelaire, luomo - prima ancora che il poeta - consacratosi al Male. Lo stroncatore vede il suo dannato antagonista sguazzare nel nulla, interprete snob della nausea, di quelleredità senechiana, che è il navigare accidioso (nausea non vuol dire, infatti, «mal di mare»?) nellorizzonte monotono e grigio dellinsoddisfazione. Esiste da secoli una casistica dellincostanza e delleuthumia, come esiste uninfinita eziologia del male di vivere. Ma Sartre ha scelto Baudelaire come bersaglio. Perché?
Lo spiega ora Alessandro Piperno in uno splendido saggio (Il demone reazionario) che coglie in quella perfida scomunica il risentimento che si prova dinanzi a qualcuno che ci somiglia troppo. Anche Sartre ha avvertito la frattura tra sé e il mondo, la percezione d«essere di troppo»: qualcosa che è parente dello «spleen», del senso di estraneità che conduce lanima a bramare lannullamento nella dolcezza della Morte.
Prima, lungo i secoli, una sterminata galleria di depressioni: laegritudo da cui invano sfugge Cicerone, la strenua inertia del disincanto oraziano, la scontentezza di Leopardi per l'uomo che non trova un ubi consistam (l«affannoso e travagliato sonno» dellepistola al conte Piepoli). Se però Sartre si accanisce solo col suo nemico-gemello ottocentesco, è perché lo accusa, come scrive Piperno, di «intraprendere la strada sbagliata» e confinarsi nellegoismo e nel rancore decadente delloscurantismo. Esorcizzando così quello che avrebbe potuto essere egli stesso se non si fosse mascherato con la fisima della palingenesi e della lotta per lemancipazione.
Sartre ha voluto ergersi a paladino dellAvvenire e si è fatto interprete di una faziosità pretestuosa, che invano ha tentato di riscattare impugnando il vessillo filantropico e i valori salvifici dellIlluminismo.
Additando Baudelaire come un astioso nemico del popolo o un abulico borghese individualista sedotto da De Maistre, Sartre ha censurato il nichilista che avrebbe irriso come una patetica ingenuità il futuro radioso da lui indicato, al pari di quello celebrato da ogni fatuo cantore dellottimismo.
Allindomani della seconda guerra mondiale, qualcuno degli amici marxisti può aver supposto che tali ricette della distruzione fossero troppo simili a quelle dellesistenzialista che non crede allesistenza del bene. E qui sta la malafede di Sartre, che Piperno denuncia alla fine del suo procedimento indiziario, esattamente come in passato aveva svelato le lusinghe dellantisemitismo atavico a cui cedette, in mezzo a sterminate legioni di razzisti più o meno consapevoli, uno scrittore come Proust. Invece di condannarsi allostracismo e alla solitudine, Sartre ha sublimato lartificio della propria mistificazione e rifiutato se stesso. Gettandosi nellagone della politica, ha trovato la solidarietà dei comunisti, che in cuor suo disprezzava.
Alessandro Piperno, Il demone reazionario (Gaffi, pagg. 436, euro 15).
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