Cronache

Sarzana, tra spezie e budella i macellai vanno alla riscossa

Maria Vittoria Cascino

Sotto i portici di Piazza Matteotti a Sarzana. Le «Sorelle Gambas» di Luigi Niccoli, la gigantografia bianco e nero anni '50 delle tre cuoche all'ingresso e l'odore dei libri freschi di stampa ad insidiare i profumi della cucina. Eugenio Cardi, romano, assicuratore Unipol e sociologo in pectore, ha scelto questa chicca di città e questa delizia di locale per presentare il suo ultimo libro: «Spezie, budella ed accessori per macelleria» (Giulio Perrone Editore, pagine 176, euro 12). L'ha scelto insieme a Giampaolo Angelotti, presidente nazionale Assomacellai che a Sarzana vive e lavora. Che legge il libro e strabuzza gli occhi perché un macellaio così non l'aveva mai schizzato anima viva. Hai voglia a raccontarlo in assemblee e incontri sindacali il macellaio della tradizione, il contatto con il cliente, il pacchetto d'esperienze elevato all'ennesima potenza. Ti ascoltano, fanno cenno di sì, ma una parola via l'altra che metti il pilota automatico mentre ti cala la palpebra. Parole che se invece diventano carta romanzata, beh, hanno un altro gusto. Strategie comunicative che passano attraverso l'impianto romanzesco di Cardi.
Livelli multipli di lettura che s'avvitano sul personaggio di Rosario, che all'Ortigia, centro storico di Siracusa, ha una macelleria con l'insegna «Spezie, budella ed accessori per macelleria» piazzata lì dal nonno. Le premesse d'una Sicilia chiusa a riccio nel suo cuore profondo, i chiodi di un'esistenza tarata di padre in figlio, un linguaggio infilato nelle solite pieghe. Poi la rottura dell'equilibrio, quell'intervento del «tragico» che innesca viaggi verticali. Di traverso la realtà, giù, affondando nell'anima.
Angelotti plaude al ritorno della fiorentina e ai suoi significati, perché fermarsi ai palati è riduttivo. Cardi ti racconta del camioncino che gli sfreccia davanti con quella dicitura curiosa che diventerà il titolo del libro. Del suo segnarsi la scritta. Del costruirci una trama armando la fantasia. Un macellaio e uno scrittore a confronto. L'uno che chiede dove s'è fatto quell'esperienza, l'altro che confessa un bagaglio inconscio depositato negli anni. Angelotti grida vittoria: è qui la forza dell'unicità dei rapporti che non devono sparire con i piccoli esercizi commerciali. Applauso. La sintonia è da manuale. Macché forzatura, quasi una follia illuminata.
Ne viene fuori una microstoria che cresce sui misteri assoluti. Saro e le sue donne che lo ingabbiano. La moglie devota, la figlia separata, la grassa amante esigente e la macelleria in cui sta stretto. Pensa Saro, pensa che avrebbe voluto andare per mare, mentre occhio e naso trattengono ancora il battesimo al mattatoio. Pensa vicino al mare, pensa che dovrebbe mollare l'amante e lasciare la macelleria. Poi la scomparsa del fratello Sebastiano a interrompere il moto perpetuo. Saro, mai viaggiato in vita sua, ne segue le tracce fino a Napoli in cerca d'una prostituta di cui il fratello s'è invaghito. Potrebbe essere con lei. S'infila nel ventre di Napoli per due lunghissimi mesi. Un pretesto per un viaggio dell'anima. Una lunga introspezione giocata sulla distanza dagli affetti consolidati. Dall'amore all'amicizia.
Ma tra giallo e varia umanità il cerchio torna a chiudersi a Siracusa. Una sorta di immersione catartica per aprire gli occhi sul vero. Quello che Saro annusava prima e cerca adesso. Prima a Napoli e poi a Palermo. Sta lì, solo un piano più su, di fronte alla macelleria cucita alla sorte. Con un'insegna troppo vecchia a ricordare l'inizio del viaggio. «Un ponte lanciato per risolvere le sue problematiche esistenziali» sottolinea l'autore. Nella quotidiana straordinarietà Saro raccoglie le cose della vita. Saro il macellaio, capace di fare introspezione e porre quesiti leopardiani. Saro che diventa l'alter ego della grande distribuzione. Poi l'intuizione di Angelotti: mutuare il Saro di Cardi per rilanciare sull'identità del macellaio che ti confeziona il prodotto condito di rapporto umano, qualità, competenza e tradizione.
Il sindaco Massimo Caleo ascolta quella difesa appassionata. L'ascolta col cuore, che lui viene dalla campagna e quelle budella e accessori per macelleria se li ricorda benissimo nelle mani grandi del nonno. Sta lì il punto. «M'è venuto il magone quando la macelleria di Marinella ha chiuso. Perché lì ci andavi a comprare la carne e a raccontare la vita» butta lì tra i ricordi. E lui ci ha lavorato duro perché Sarzana, bella e antica nelle sue piazze e corti, garantisse la continuità dei negozietti e delle tipicità. Si scalda sulla necessità di fidelizzare il prodotto, sul macellaio che allaccia i clienti mettendoci la faccia su bistecche e sottopaletta. Piccoli grandi gesti per non perdersi. Per condividere un'identità che nasce anche dal prodotto d'una terra di confine, tra fortezze e carruggi. Sarzana acchiappa al volo il romanzo dal titolo scioglilingua perché ne intuisce la traccia di un processo contro tempo e mode. Ne fa un vessillo, che la consapevolezza rende audaci. Saro non chiude la macelleria. Saro ha in mente a chi lasciare quel patrimonio iniziato con budella raggranellate e un pugno di spezie.

Un patrimonio che spiana i muri e vive di affetti, fotografato da Saro in un folle salto senza rete.

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