Sbagliato odiare i piccioni: sono eroi

SEMPRE DI RITORNO Volano anche di notte, con la tempesta, per centinaia di chilometri

Li combattiamo in tutte le maniere, perché sporcano, perché portano malattie, perché rompono le balle. Pillole antifecondative, reti di cattura, chiodi dissuasori sui tetti, assedio per fame nelle pubbliche piazze, le proviamo tutte per farli sloggiare, eppure la storia ci insegna che dovremmo mostragli tutt’altro rispetto. Sono i piccioni, adorati (se vincono) dagli allevatori emiliani oppure odiati da tutti fuorché dai bambini. Eppure se andate a Carnlough, nella contea di Antrim in Irlanda, troverete, sul muro del porto, una targa dedicata a un piccione di nome Paddy che in quella cittadina è nato. Si tratta di un’onorificenza al valore militare con la quale il popolo irlandese ha voluto ricordare nei secoli questo piccione che, alle 8,15 del 6 giugno 1944 partì per una missione che gli lasciava scarse alternative: giungere, il più presto possibile, in Inghilterra a portare le prime nuove sullo sbarco in Normandia o morire, abbattuto dai «caccia» nemici.
Se pensate che solo cani, cavalli, muli e delfini abbiano dato un aiuto, talvolta decisivo, agli uomini impiegati nelle attività belliche vi sbagliate di grosso. I piccioni hanno avuto un ruolo di primo piano, quando alle loro ali erano affidate notizie d’importanza strategica. Uccelli pressoché perfetti, macchine naturali di straordinaria costruzione, i piccioni sono in grado di volare, di giorno e di notte, col sole o con la pioggia, col vento e la tempesta, per centinaia di chilometri ritrovando la loro piccola casettina in cui vivono.
Paddy era uno dei più giovani arruolati nella Raf e faceva parte di un gruppo che contava trenta messaggeri alati, aggregati alla Prima divisione statunitense. Quel giorno di giugno Paddy coprì le 230 miglia che dividevano la costa francese dalla base militare di Hampshire in meno di cinque ore, portando notizie strategiche per gli alleati, ma ambite anche dai tedeschi che avevano liberato nei cieli i loro falchi addestrati. Non ci fu storia: il piccione Paddy, con volo battuto, veloce e basso sul mare, fregò gli artigli della falconeria aggregata alla Luftwaffe portando agli angloamericani notizie preziose per la sorte del conflitto.
Non era la prima volta che, per la verità, il «soldato» Paddy riceveva un’onorificenza. Subito dopo la guerra ottenne la medaglia Dickin che può essere rapportata alla Victoria Cross per l’uomo. Questa volta, a scoprire la targa, c’era il suo anziano istruttore, John McMullan che, con commozione, ha raccontato di quando Paddy veniva portato in sottomarino al largo delle coste irlandesi e rilasciato per trovare la strada che lo avrebbe condotto a casa, senza alcun ausilio. Neanche venti giorni di stanza in una base inglese meridionale e Paddy aveva già imparato a orientarsi in ogni punto e a volare preciso e sicuro là dove il suo istruttore gli chiedeva di andare. I tedeschi sapevano dei colombi istruiti dagli alleati e avevano addestrato squadriglie di rapaci che perlustravano i cieli con artigli e becchi famelici. Quel 6 giugno del 1944, il giorno del D-Day, forse avvistarono Paddy, ma il suo battito alare vigoroso li lasciò con un palmo di becco nelle zampe.
Visse quasi dieci anni ancora, l’eroe irlandese alato, prima di morire nel 1954 tra le mani del suo proprietario, il capitano Andrew Huges.
Dal 1943 a oggi sono oltre 60 gli animali decorati al valor militare per aver salvato migliaia di vite umane. Ebbene, 32 medaglie al valore sono state assegnate a piccioni, quali Mary of Exeter ferita quattro volte, durante la Seconda guerra mondiale, mentre trasportava messaggi top secret tra Francia e Inghilterra. Ma è soprattutto durante la Prima guerra mondiale che il loro ruolo, nelle comunicazioni, diventa insostituibile. Durante l’offensiva delle Argonne, la battaglia di due mesi che finalmente mise fine alla Prima Guerra, furono impiegati oltre 400 colombi che portavano messaggi nell’area di Verdun. Probabilmente il piccione eroe più famoso della Prima Guerra fu Cher Ami (Caro amico). Dopo avere espletato una dozzina di missioni importanti, il 4 ottobre del 1918 compì la sua più mirabile impresa. Il giorno prima, il maggiore americano Whittlesey e più di 500 soldati furono intrappolati in una depressione delle colline francesi. Il giorno dopo, non ne rimanevano vivi che meno della metà. Dopo avere inviato diversi piccioni, nel tardo pomeriggio al maggiore ne rimaneva uno solo, Cher Ami. Il fuoco amico, non sapendo dove erano i soldati, rischiava di falcidiarli. Il maggiore diede un bacio a Cher Ami e lo liberò con un messaggio sotto l’ala. C'era scritto «We are along the road parallel to 276.4. Our own artillery is dropping a barrage directly on us. For heaven’s sake, stop it». (Siamo lungo il parallelo 276,4 e la nostra artiglieria ci spara addosso. Per l’amor del cielo fermatevi»). I tedeschi lo videro in volo e aprirono il fuoco. Sembrava dovesse cadere ad ogni battito d’ali, ma il piccolo e Caro Amico volò e volò sempre più su, oltre la portata della «contraerea» e raggiunse gli alleati con il suo messaggio nel canestrino attaccato a una zampa: aveva perso un occhio, un’ala, una zampa era staccata dal corpo. I medici lottarono giorni per farlo sopravvivere e i francesi, saputa la sua storia, lo insignirono della Croce di Guerra.


Dai movimenti partigiani di Belgio, Francia e Olanda ai soldati al comando di Himmler (presidente della società tedesca dei piccioni) i colombi ebbero un ruolo strategico nelle due Guerre e se ne incontrate uno ai bordi della via ricordatevi di Paddy e Cher Ami e toglietevi il cappello.

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