Scajola in Libia: al via la zona franca per le aziende italiane

nostro inviato a Tripoli

Si compra un fez nel suk della vecchia medina, poi si fa fotografare sotto il Castello Rosso e indica la finestra d'angolo: «Vedete? Quello era l'ufficio di Italo Balbo». Ma ormai, cent'anni dopo, non è più tempo di colonialismo e nemmeno di liti e guerre sui danni dell'occupazione. E così il piede con il quale Claudio Scajola calpesta il suolo libico non è quello dell'invasore.
Una zona franca e agevolata dedicata alle industrie italiane che vorranno insediarsi qui. Poi una corsia preferenziale per le nostre ditte che parteciperanno alla modernizzazione di Tripoli e alla ricostruzione del sistema dei trasporti libico. Poi ancora, un mezzo impegno dei dirigenti della Jamahiria a investire in Italia: vent'anni fa i fondi sovrani del Colonnello hanno salvato la Fiat, più recentemente hanno dato una robusta mano a Unicredit. «E domani - ipotizza Scajola - potrebbero essere usati per cofinanziare il valico europeo Genova-Milano, la ferrovia ad alta velocità. Genova del resto è il loro porto naturale».
Questo, in pillole, il bilancio del primo viaggio operativo in Libia di un ministro italiano dopo lo storico trattato di amicizia e cooperazione firmato il 30 agosto sotto una tenda a Bengasi da Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi. L'incontro nel deserto ha consentito di chiudere le pagine nere del passato: le stragi compiute dagli italiani nei decenni dell'occupazione, il contenzioso sui risarcimenti economici, le ruggini che si sono susseguite dopo il lancio dei missili scud su Lampedusa, la pretesa di avere le isole Tremiti e le giornate dell'odio anti-italiani. Tutto archiviato, con l'offerta riparatrice di 5 miliardi in vent'anni.
Ora la visita di Scajola, ricevuto da mezzo governo, dà un senso concreto a quei 200 milioni l'anno che dovremo versare alle autorità di Tripoli. Soldi, spiega il ministro per lo Sviluppo economico, che apriranno diverse porte. «Abbiamo elencato molte imprese interessate alle commesse per il necessario ammodernamento di questo Paese. Penso alle ferrovie, alle strade, alle infrastrutture in genere. Porti, aeroporti, metropolitana, la Libia cresce e soffre il problema della mobilità. Ma penso anche all'energia, alla trasformazione del ferro. E alla pesca».
Insomma, da grandi nemici a ospiti d'onore. La due giorni tripolina di Scajola è fittissima. Vede il premier El Mahmudi, astro nascente del regime, che gli dice che «il tempo delle controversie è finito, ora c'è quello della collaborazione». Si intrattiene piu' volte con il ministro dell'Economia El Haweji, con cui firma l'accordo per le zone franche non senza una lunga e inattesa coda di trattativa. Incontra il ministro delle Finanze Al Zlitny, al quale assicura che «l'Italia vi aiuterà a diventare una città del terzo millennio». Inaugura la fiera di Tripoli.

Apre il convegno organizzato dal presidente dell'Ice Umberto Vattani, «Italia e Libia partner per lo sviluppo del Mediterraneo». E, dopo ultimo dramma del mare, ottiene pure un impegno dei libici a controllare meglio le loro coste.

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