Una scelta di vita, pure lui. Questo il vero motivo che spinge Chivu a lasciare la Roma per diventare interista. Mesi di trattative, euro da spostare a badilate, tira e molla allucinanti. Minacce, appelli e ripicche. Alla fine, qua la mano e affare fatto. Come le canzoni balneari dei Righeira, anche il tormentone dell'estate 2007 si chiude con il solito ritornello: una scelta di vita, è solo una scelta di vita.
A lungo s'è sperato, nel pieno di questo psicodramma dagli allarmanti contorni geopolitici, che almeno l'epilogo fosse diverso. Che dopo l'estenuante battaglia da mercato del pesce, perennemente sul filo dei quindici milioni di euro (alla fine, diciassette), Chivu provasse a spiegare con parole sue una normalissima ambizione umana: cambiare ambiente per guadagnare di più. Che c'è di male? Un postino di Caserta non andrebbe ad Avellino, potendo quadagnare il doppio o il triplo? Ci sarebbe qualcuno, in questo amabile Paese regolato in ogni sua recondita piega dal semplice interesse, che davvero oserebbe censurare il semplicissimo cambio a scopo di lucro?
Vallo a spiegare, nell'oscuro e tortuoso mondo del calcio. Proprio in questa cerchia, dove nulla si crea e nulla si distrugge se non per denaro, i campioni si sentono in dovere di trovare le parole giuste. Vogliono passare per profondi. Come i juke-box di una volta: basta buttare il gettone e loro partono. Dal bon-ton del partente affranto: qui a Vimercate stavo bene, ma ad un certo punto della carriera si sente il bisogno di una nuova esperienza, per cui ho deciso di cambiare. A malincuore, ma me ne vado. Avevo un sacco di offerte anche più vantaggiose, però ho scelto Cinisello perché credo nel progetto. I tifosi mi fischiano? Li capisco. I tifosi hanno sempre ragione. Ma io li porterò sempre nel cuore. Spero capiranno: vado via per una scelta di vita.
Già sentita da Gullit, tempi addietro. Uno specialista nelle scelte di vita. Per motivazioni profondissime, ha scelto una mezza dozzina di vite. Ma la lista dei precedenti è lunghissima. Più sale la cifra dell'operazione, più è scelta di vita. Shevchenko, l'anno scorso: da Milano, dov'era un re, a Londra, dov'è un maggiordomo. Anch'egli, all'epoca, la stessa spiegazione: scelta di vita. Come no, pure lui. Al solo sentirli viene quasi voglia di sdoganare Vieri, che almeno cambia squadra e città una volta all'anno, anche due, senza mai compiere una sola scelta di vita.
Tempo fa, prima di Chivu, una dolorosa scelta di vita è toccata a Lucarelli. Tre anni in Ucraina a quattro milioni l'anno. Totale dodici. Tutto questo perché un giorno possa tornare a Livorno, la città del cuore, ed aprirci un quotidiano di sua proprietà, finalmente libero. Libero di raccontare struggenti scelte di vita.
Specifichiamo: a livello puramente letterale, i termini non sono impropri. Spostarsi da una città all'altra è effettivamente una scelta di vita. A rendere questa frase odiosa è un po' la prevedibilità dell'utilizzo, e un po' la nostra particolare forma mentale. Per noi di un altro mondo, scelta di vita significa qualcosa di abbastanza doloroso, di abbastanza difficile, di molto stimabile. È una scelta di vita lasciare il consiglio di amministrazione dell'Ibm per andare a coltivare il biologico in Maremma. È una scelta di vita lasciare l'attico a New York per girare il mondo in tenda. Di più: è una scelta di vita - ancora succede, senza che nessuno lo racconti in tv - quando un ragazzo si laurea e parte per una missione del Terzo Mondo, da prete o da medico, sicuramente per qualcosa in meno rispetto a Chivu e Sheva. Non è il caso di farla lunga, ma in tutti quanti noi la scelta di vita richiama qualcosa di francescano, di nobile e di coraggioso, certamente al di sopra delle nostre comuni capacità.
Il vecchio Chivu può ben capire: è difficile ascoltarlo mentre parla della sua scelta di vita, a quattro milioni l'anno. Se vuole fare il gesto, provi almeno ad attrezzarsi per il futuro. S'inventi qualcosa di normale, quando dovrà lasciare l'Inter per una scelta di vita.
Cristiano Gatti
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