Lo scetticismo dei riformisti: difficile rilanciare il governo

Per il socialista Boselli le divisioni con l’ala massimalista non potranno che ostacolare il programma. Diliberto: «Ma senza di noi si fa vincere la destra»

da Roma

Per spiegare come l’esecutivo Prodi potrebbe realizzare un programma riformista stretto nelle forche caudine della sinistra radicale, Eugenio Scalfari s’è inventato l’ossimoro «discontinuità nella continuità». D’altronde, solo un paradosso può spiegare il potere condizionante di Prc, Pdci e Verdi (il cui peso elettorale supera di poco il 10%) sul resto di una coalizione che si professa per lo meno moderata.
Eppure ieri il segretario dei Ds, Piero Fassino, ha ripetuto più volte che bisogna «rilanciare con forza l’azione di governo» restituendogli «autorevolezza» con «un chiaro profilo riformista», sintetizzato nei dodici punti del patto programmatico imposto da Prodi. Ma il leader della Quercia ha detto di più sostenendo che «la crisi dimostra che se la coalizione assume connotazioni tipiche della sinistra radicale, entriamo in un corto circuito».
L’equilibrismo dialettico è un obbligo per rimediare alla sortita dalemiana («certa sinistra non serve al Paese»; ndr) che ha indispettito gli alleati. Né, visti i sondaggi, c’è voglia di ricorso alle urne. «Le amministrative - ha concluso - non sono un giudizio di Dio, Berlusconi si rassegni perché gli italiani hanno deciso chi governa nel 2006». Ma, rovesciando il discorso, si può attuare un programma quando su Dico, Tav, liberalizzazioni, Afghanistan e riforma previdenziale non c’è unanimità? La risposta è negativa, almeno per il segretario dello Sdi, Enrico Boselli.
«Non si può essere incendiari di notte e pompieri di giorno - ha detto durante il direttivo del suo partito - e prima o poi la contraddizione con la sinistra radicale sarebbe esplosa, come è puntualmente avvenuto». Insomma, nel ridotto socialista della maggioranza si dà per assodato che «quando partitini, che sono determinanti, appoggiano un governo solo come il “meno peggio“, è del tutto evidente che è assai difficile poter avere uno slancio riformatore». La riluttanza di Boselli all’ingresso nel Partito democratico («un compromesso storico bonsai» l’ha definito Intini) la dice lunga sul percorso accidentato che i riformisti hanno di fronte.
E la sinistra radicale? «Se vogliamo governare, serve uno schieramento più largo (del solo Pd; ndr), a meno di non far vincere la destra», ha mandato a dire il segretario del Pdci, Oliviero Diliberto, agli strateghi di Via Nazionale aggiungendo che sui 12 punti si troveranno le «mediazioni possibili». Idem per il verde Angelo Bonelli secondo il quale l’agganciamento di Follini non implica «nessuno spostamento dell’asse politico e programmatico».
Il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, guarda già oltre. «Se il governo diventa la bussola per la sinistra - ha dichiarato - si perde l’orientamento.

Bisogna sganciarsi da quello che è stato fatto. Mi piacerebbe che i vari pezzi della sinistra riuscissero a produrre idee invece di perder tempo a progettare partiti». In fondo, se cadesse Prodi, solo Sdi e Idv vorrebbero le elezioni. C’è tempo per le congetture.

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