Controcultura

Scettico, geniale, ribelle la pietra miliare inglese

Stroncato dalla malattia dell'amico Hitchens. Con le sue provocazioni ha segnato un'epoca

Scettico, geniale, ribelle la pietra miliare inglese

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La malattia che lo ha portato via è la stessa che ha colpito il suo «amico più autentico», il giornalista e scrittore Christopher Hitchens, scomparso nel 2011, ovvero tumore all'esofago: è scomparso nella sua casa di Lake Worth in Florida, dove risiedeva dal 2011 insieme alla moglie, la scrittrice americana Isabel Fonseca, a 73 anni, lo scrittore britannico Martin Amis, nato a Oxford nel 1949. Autore di titoli ormai classici della letteratura mondiale, come Il dossier Rachel (1973), La freccia del tempo (1991), L'informazione (1995), La zona d'interesse (2014) e La storia da dentro (2020), suo lascito autobiografico composto da meditazioni su letteratura, politica, morale; firma di culto per tre generazioni; faro e amico per molti più giovani autori tra cui Will Self e Zadie Smith; provocatore, scettico, anticontemporaneo eppure così centrato nel suo tempo, Amis, pubblicato in Italia da Einaudi, non era un uomo facile. Cortese ma glaciale, amante della polemica e della critica anche feroce, armato dal fuoco della precisione, amava colpire dove fa più male, sia quando creava personaggi di finzione sia nei suoi indimenticabili saggi come La guerra contro i cliché (2001) o Koba il Terribile (2002).

Il debutto avviene nel 1973 con una storia autobiografica: Il dossier Rachel vede al centro gli appunti d'amore di Charles Highway, adolescente brillante, ambizioso, seduttore e nevrotico, di bruttezza ipnotica e molto sottovalutato. Nelle pagine di questo romanzo c'era già tutto Amis: la sprezzatura contorta e affascinante che lo contraddistingue nella vita e nello stile, il desiderio grottesco e solo fintamente maldestro per tutte le donne, tutte rappresentate qui da Rachel Noyes, splendida ventenne legata a uno studente americano, la cui conquista macchinosa lascia il lettore affascinato da uno spudorato thriller romantico. Il romanzo divenne nel 1989 un film e quando Amis lo riprese in mano un decina di anni fa si criticò aspramente: rozzo e immaturo - lo giudicò - per mestiere, per impianto, per stile e per descrizioni sessuali.

«Sono stato incredibilmente fortunato» amava ricordare, per il fatto di essere cresciuto immerso nella letteratura: il padre Booker Prize nel 1986, cavaliere nel 1990, matrigna la scrittrice Elizabeth Jane Howard, amici di famiglia Iris Murdoch e Philip Larkin: «Scrivere era un po' come prendere il controllo del pub di famiglia», diceva, descrivendo suo padre come «uno dei più grandi ubriachi del nostro tempo».

Negli anni felici degli esordi, Martin - figlio del letterato inglese «arrabbiato» per eccellenza Kingsley Amis - non fece sfigurare il padre: conquistò con il suo ribellismo scettico tutto il milieu letterario che conta e divenne amico di quello che ha sempre considerato il suo «padre spirituale», Julian Barnes. Lavoravano, giocavano a tennis o biliardo, bevevano e scrivevano - sebbene con stili tanto distanti - insieme. Julian era un 28enne di talento e Martin un 24enne responsabile letterario del più blasonato settimanale sinistrorso britannico, il New Statesmen. Si prende Barnes come vice e per vent'anni rimangono in quella gloria sofisticata, circondati dai migliori nomi della propria generazione: Ian McEwan, Tina Brown, Christopher Hitchens e Salman Rushdie tra gli altri.

Finché arrivò il capolavoro di Amis, L'informazione, i cui protagonisti sono Richard Tull, tormentato trascurato, e Gwyn Barry, superficiale di successo, rivali in letteratura e in amore, ovvero, a detta dello stesso milieu che ne sanciva il legame, Julian e Martin. Amis chiese mezzo milione di sterline di anticipo sul volume all'agente che lo seguiva da 22 anni, Pat Kavanagh, moglie di Barnes, lei non ce la fece ed Amis passò a Andrew Wylie. Con un bigliettino, Barnes ruppe ogni rapporto, un'epoca d'oro finì e i due fecero pace solo una ventina di anni dopo.

Le dava, le prendeva e incassava i colpi con elegante maestria, memorizzando la battaglia persa per farla diventare guerra vinta. Le polemiche che gli hanno dato più filo da torcere sono state quelle con gli amici intellettuali che hanno fatto con lui la storia della letteratura inglese della seconda metà del 900, ma anche nel dibattito pubblico si è sempre esposto con stoicismo leonino. Dalla metà degli anni 2000 si considerò «islamismofobico»: «Mi sento moralmente superiore agli islamici. Antisemiti, misogini psicotici e omofobi. Meno civilizzati della società occidentale. I musulmani dovranno soffrire finché non avranno messo la casa in ordine». In passato accusato di misoginia (la vittoria del femminismo e del sesso libero aveva reso le donne «troppo potenti per l'armonia delle proprie vite»), in occasione dell'uscita di La vedova incinta ribaltò a suo favore il vento: «Le donne scrivono di sesso meglio di noi. Sanno affrontare i fallimenti e le delusioni.

Gli uomini preferiscono evitare».

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