La scissione è un vizio antico dei socialisti

Francesco Damato

Di «nuovo» il Psi ha ben poco dopo lo spettacolo offerto alla Fiera di Roma, dove si è praticamente consumata l'ennesima scissione socialista, paradossalmente in nome dell'unità.
In più di quarant'anni ormai di professione non mi era mai accaduto di vedere un segretario di partito aprire un congresso, con tanto di relazione davanti a tanto di delegati e di invitati, e tentare di chiuderlo dopo due giorni declassandolo ad «assemblea» priva di qualsiasi legittimità, cimentatasi tra schiamazzi, insulti, sputi, botte e annunci di querele in un dibattito che lo stesso segretario ha elogiato come «straordinario». A qualcuno è apparsa addirittura «creativa», a me semplicemente penosa la confusione offerta dai socialisti di Gianni De Michelis e di Bobo Craxi.
Solo il ricordo di Bettino Craxi, della coraggiosa svolta da lui impressa alla politica italiana a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta e del modo infame in cui fu poi liquidato da avversari irriducibili e da amici o compagni infidi e vigliacchi mi trattiene dal chiedermi se sia valsa la pena spendersi tanto, come mi è accaduto, per sostenere in questo giornale e altrove quella stagione di socialismo autonomo e riformista.
Non so francamente da che cosa dissentire di più di fronte al presunto congresso del Psi svoltosi fra venerdì e domenica scorsa. Non condivido la decisione del pur carissimo amico Bobo di ricongiungersi con lo Sdi di Enrico Boselli per ritrovarsi poi nella compagnia di Romano Prodi, e di Antonio Di Pietro, ch'egli stesso ha appena definito «imperdonabile» per ciò che ha fatto al padre. Ma non mi piacciono neppure le contorsioni di De Michelis, attratto in fondo pure lui dall'operazione, ma aggrappato al goffo e un po’ ambiguo tentativo di ritardarla di qualche settimana. Egli ha indossato i panni di un navigato «esploratore», capace sia di sfilarsi in tempo dal cunicolo del negoziato con Boselli, ma anche di attraversarlo sino in fondo, promettendo in questo caso di portare a casa risultati più vantaggiosi del suo meno avveduto concorrente.
Esperto com’è di musica e discoteche, delle quali compilò una guida negli anni passati, tra un impegno di governo e l'altro, De Michelis pensa forse di essere rock pure lui, direbbe Celentano, tornando a ballare con gli ex compagni di partito che da anni gli rimproverano di non essere «a sinistra». Dove solo, secondo loro, potrebbe sentirsi di casa un socialista per ragioni genetiche, o addirittura di igiene. Come ballerino confesso di essere meno ancora di una schiappa, ma penso che anche De Michelis si sia messo a ballare un lento che più lento non può essere.
Parlare di sinistra e di destra come ai vecchi tempi, quando peraltro già Bettino Craxi veniva catalogato a destra dagli untori di sinistra che ne disprezzavano e temevano l’anticomunismo, significa aver capito ciò che è accaduto in Italia. Significa ignorare per pigrizia mentale, o per complesso d'inferiorità, che nella sinistra italiana a suonare la musica sono fior di conservatori e reazionari, che si professano riformisti ma contrastano ogni riforma passi loro davanti.

Essi non a caso si sono proposti di cancellare in caso di vittoria elettorale tutte le riforme che anche De Michelis ha contribuito a fare in questi anni stando nella coalizione di Silvio Berlusconi.

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