Gianandrea Zagato
Il partito meno a sinistra che ha votato? «Prima Repubblica o seconda?». Prima Repubblica. «Per la sinistra, per il partito repubblicano». Bruno Ferrante fa un salto indietro nell’urna ante-seconda Repubblica. Lo fa dietro domanda di Enrico Mentana, nel confronto televisivo con Letizia Moratti che va in onda stasera su Italia 1 alle 22.35.
Flash-back che lascia però senza il voto post-prima Repubblica dell’ex prefetto. A meno che, forse, non sia consequenziale a quell’attestazione di stima che l’ex inquilino della Prefettura dichiara di avere per «Gianfranco Fini, Bruno Tabacci e Ignazio La Russa». Preferenze politiche che sono il primo scivolone dell’aspirante sindaco del centrosinistra, almeno secondo i commenti dedicati online al faccia a faccia di Matrix.
Valutazioni soggettive e spesso anonime dei supporter di Ferrante, che diventano però oggettive e quasi al limite dell’insulto quando picchiano duro sulla risposta data dall’ex prefetto a un’altra domanda del conduttore: da chi, Ferrante, non vuole essere votato? «Dai violenti e dai facinorosi da qualsiasi parte stiano. Non farei mai dei patti con persone che praticano la violenza». Uscita davvero singolare: alla sinistra di Ferrante c’è, infatti, quella lista Comunista che candida al consiglio comunale tal Walter Ferrorato ovvero uno dei prodi autonomi che, l’11 marzo, misero a ferro e fuoco corso Buenos Aires.
Ma, lui, l’ex prefetto che aspira a fare il sindaco di Milano, se l’è dimenticato. Letizia Moratti tenta di ricordarglielo, «Si dimentica di dire che tra quei ragazzi scarcerati che avevano contribuito alla devastazione ci sono persone apparentate con le liste di Ferrante». «Questo è falso» la secca replica dell’aspirante sindaco, con una biografia - eskimo incluso - quasi pronta per le stampe. Forse è colpa dell’emozione: quella che, attenzione, gli annebbia la mente e gli fa scordare di aver intimato alla sua avversaria di non manifestare il primo Maggio, «le padrone non possono scendere in piazza». Affermazione che Letizia Moratti rammenta con una noticina, «ci vuole molto poco ad accendere una piazza e questo un prefetto dovrebbe saperlo molto bene».
Colto nuovamente in flagranza, Ferrante, impartisce una stucchevole lezioncina di morale, «quando si fanno i patti con chi predica la violenza si aizzano anche gli animi dei più violenti. Quante volte in vita sua, signora, ha partecipato alla manifestazione del 25 aprile?», prima di esibirsi nel remake del candidato della concertazione e del dialogo, «ricordo gli scioperi dell’Atm quando Palazzo Marino era chiuso». Memoria che, naturalmente, non segue fedelmente le trattative di quei cinque giorni della Milano appiedata e, soprattutto, vacilla quando dovrebbe rammentare il fallimento della trattativa sindacale per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro autoferrotranvieri. Ennesimo capitombolo quando Ferrante fa sapere «che già ci sono i soldi (in Comune, ndr) per realizzare asili». Davvero sorprendente: il contrario di quello sostenuto da Filippo Penati, il diesse che governa l’amministrazione provinciale.
Nessun stupore davanti all’ennesima prova che Ferrante non conosce quanto accade politicamente a Milano.
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