Federico Guiglia
Arrivederci al 2011. A quella data, secondo le previsioni di Francesco Rutelli, si potrà finalmente dare un nome al bambino. Il bambino è il «Partito democratico» che è in piena ma lenta gestazione fra Ds e Margherita. Lenta, dunque, e pertanto non è rock, per usare le categorie dellormai inflazionato Celentano: citarlo è la regola senza fantasia. Lenta, tale avventura, al punto da domandarsi che senso possa mai avere annunciare il sì di tutti o quasi i protagonisti del progetto inesorabile salvo poi scoprire che esso verrà alla luce «entro larco della prossima legislatura». E che serviranno «passione e pazienza» (Rutelli a La Repubblica).
E le primarie, che avrebbero accelerato liniziativa a furor, appunto, di popolo ulivista? E la riforma della legge elettorale, che avrebbe indotto le due forze principali del centrosinistra a rivedere in fretta la loro attuale e ormai ex strategia un po distinta e molto distante? E la richiesta di fare un solo gruppo parlamentare almeno e subito alla Camera dei deputati? (ma perché non coinvolgere anche palazzo Madama? Per tradizione i senatori sono meno litigiosi dei deputati...). Insomma, tutta questa rivoluzione riesplosa allimprovviso, ma interpretata con fermezza e convinzione come se fosse o dovesse essere irresistibile e invece campa cavallo: «Entro larco della prossima legislatura». Che va, appunto, dal 2006 al 2011!
Per quanto la scommessa sia politicamente temeraria, per quanta comprensione si possa manifestare per un disegno che porterà al superamento di un partito radicato come i Ds - radicato nel territorio e nella storia dItalia - e di un altro partito che a sua volta ha raccolto leredità di una parte della Dc (altra forza che ha rispecchiato lidentità del Paese per decenni), per quanta ragionevolezza, si diceva, si debba dedicare alla questione, nellera di internet il 2011 appare lontano come la conquista di Marte. Anzi, probabilmente luomo (e la donna) sbarcheranno su Marte prima ancora che Prodi, Rutelli e naturalmente Piero Fassino proclamino urbi et orbi il decollo del «Partito democratico» oltre lo spazio della loro coalizione.
Non sarà eccessiva linvocata «pazienza»? Non sarà che col tempo biblico si spera di smussare contrasti oggi e altrimenti insanabili sul terreno politico, sociale e culturale? Non sarà che buttando il pallone così fuori dal campo i giocatori potranno intanto provare tattiche dattacco e di difesa senza compromettere lesito finale della partita?
La sorpresa, poi, di questa prospettiva da calende greche è amplificata dal fatto che i promotori non stanno elaborando un modello politico e platonico che non esiste in alcun luogo della Terra (e della galassia marziana, si può presumere con certezza scientifica). Di «partiti democratici» con le loro belle idee riformatrici è pieno il mondo. DallAmerica allEuropa, per restare ai riferimenti a noi più vicini, cè solo limbarazzo delle scelte, delle esperienze, dei nomi che comunque rappresentano lalternativa progressista ai partiti conservatori e moderati.
Cè qualcosa che sfugge in questa logica da laboratorio, come se i partiti, ancorché nuovi o nuovissimi, fossero un prodotto meccanico del quale si può ipotizzare perfino il parto senza fine. E poi ci si arrabbia quando si constata che gli italiani, soprattutto giovani, sallontano sempre più dalla politica.
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