Non abbiamo nessuna intenzione di infierire contro Fausto Bertinotti: intanto perché non si uccide un uomo morto neppure quando la morte è solo politica; e poi perché, tra tanti spocchiosi maestrini dalla penna rossa, Bertinotti si distingue per intelligenza e simpatia. Bene ha fatto Umberto Bossi, ieri sera, a rendergli lonore delle armi quando lo ha visto lì nel salotto di Vespa mentre offriva la propria faccia alla sconfitta.
Però quanto ci è parso rétro, lormai ex presidente della Camera, quando cercava di spiegare questa sconfitta. Rétro e anche un po patetico così come erano stati via via, lungo tutto il pomeriggio, i Giordano e i Russo Spena, i Cento e i Turigliatto. Tutti lì a invocare cause contingenti: siamo partiti tardi nella costruzione del soggetto unico, ha detto Bertinotti, e poi Veltroni ci ha segato le gambe con i suoi ripetuti appelli al voto utile. Quisquilie, spiegazioni del tutto inadeguate a rendere ragione di ciò che non è una semplice sconfitta elettorale ma lincredibile perdita di tre milioni di voti su quattro; ed è soprattutto un evento storico, perché è la scomparsa dei comunisti dal parlamento dellItalia, il Paese che per cinquantanni aveva avuto il più forte partito comunista dellOccidente.
È vero che Veltroni ha sfondato a sinistra perché - a causa dello sciagurato (per lui) accordo con i radicali - non è riuscito a far breccia nel centro cattolico. È vero anche che la Sinistra Arcobaleno paga le conseguenze di un percorso che ormai conduce inevitabilmente verso il bipolarismo. Ma Bertinotti e i suoi alleati dovrebbero appunto chiedersi come mai, sulla strada di questo bipolarismo, la sinistra più moderna - che è quella guidata da Veltroni - ha deciso di abbandonarli.
La risposta è semplice: è che al mondo di oggi, e perfino alla sinistra di oggi, chi si richiama ancora al comunismo non ha più nulla da dire, non ha più alcun contributo utile da dare. Così come è fuori dal tempo e dalla storia un ambientalismo estremista che si distingue solo per il suo ostinato e pregiudiziale dir di no a qualsivoglia progresso.
Non è stato Berlusconi, e non è stato neanche Veltroni a far sparire la falce e martello da Camera e Senato. È che ieri è suonata finalmente, anche in Italia, la campana della storia per unideologia che era già obsoleta e impresentabile quando Bertinotti, Cossutta, Diliberto e altri irriducibili si erano rifiutati di accettare la svolta del Pci, che il termine «comunista» lo aveva fatto sparire dal nome.
Il comunismo è nato con il nobile proposito di dare a ciascuno secondo il suo bisogno, e nellOttocento della Rivoluzione industriale prese le difese di chi in quel grande ma spietato processo di modernizzazione veniva usato come carne da macello. Ma la storia, la realtà, la prassi hanno poi mostrato che il comunismo - per usare le parole di Giovanni Paolo II - sè rivelato una medicina peggiore del male che intendeva curare. Ovunque è salito al potere ha prodotto non solo repressione e terrore, lager e morti; ma anche un indicibile grigiore, un terrificante squallore intellettuale e morale. Il sistema politico che doveva dar vita all«uomo nuovo» sè dissolto lasciando dietro sé solo guerre, torture, disperazione, miseria. Non unopera darte, non un poeta, non una scoperta scientifica degna di rilievo ci è stata consegnata da quel mondo.
I comunisti italiani e in genere occidentali si sono autoassolti attribuendo il fallimento a coloro che avrebbero, a loro dire, tradito lidea. Ma con il trascorrere degli anni sè visto che non vera Paese in cui il comunismo non si trasformasse in tragedia: lUrss, ma poi anche la Cina, il Vietnam, la Cambogia, Cuba. Ad uno ad uno, tutti i miti sono caduti. Perché il difetto non stava nellerrata applicazione dellidea, ma nellidea.
Lo stesso Bertinotti deve aver preso atto, qualche giorno fa, della non riproponibilità di un simile sistema di governo.
Michele Brambilla
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