Solo una seconda, attenta lettura di questo librino permette che alcuni passaggi risultino non dico chiari, ma almeno tali da potergli assegnare un qualche senso. Aiuta il diminutivo: librino. Sono settanta pagine in caratteri enormi, corpo sedici o forse addirittura diciotto, grossomodo otto volte la lunghezza di questo articolo, così che lo si può leggere e rileggere in un pomeriggio. Ma ci sono frasi che anche a ripassarle più volte rimangono impenetrabili. Come questa, scritta a proposito di Cattedrale, un quadro del pittore afroamericano Norman Lewis: «La presunta realtà dei monumenti è una forma di distrazione in Cattedrale, una facciata dietro cui si cela una relazione con il potere così obliqua da risultare quasi inattingibile». Ah sì? E cioè? Ma è solo un esempio tra i tanti possibili, perché buchi neri di senso come questo si aprono ogni pagina o due. Eppure Rachel Cusk è una narratrice che di norma lavora con precisione proprio sulle sfumature di senso. Se posso provare a ridurne la sontuosa cifra in una semplice formula, Cusk percepisce e descrive effetti psicologici ed emotivi secondari ma profondi che cose, persone, azioni, paesaggi esercitano sugli esseri umani, cogliendone appunto il senso non ovvio. La sua è una narrativa raffinata e complessa, eppure chiarissima. Anche nella sua opera saggistica sulla maternità, uscita in Italia nel 2008 con il titolo Puoi dire addio al sonno, Cusk era stata di una chiarezza abrasiva.
In Controfigura. L'artista e il suo doppio (Marsilio Arte, euro 14, traduzione di Anna Nadotti e Isabella Pasqualetto) mescola narrativa e saggistica, parla di arte e artisti, e precipita nell'oscurità. Amo i suoi romanzi senza eccezioni. Attendo ogni suo nuovo libro con quel batticuore con cui da ragazzo attendevo un nuovo disco dei Roxy Music o dei Jethro Tull. Ma Controfigura l'ho preso solo perché sono un suo completista e allora pazienza l'oscurità e pure lo scarso rapporto quantità/prezzo. Non vorrei essere così perplesso di fronte a Controfigura, anzi proprio mi secca, ma tant'è.
Le settanta pagine a lettura facilitata nascono su invito di Palazzo Grassi, e sono state lette integralmente da Cusk a Venezia nel dicembre 2022, durante la presentazione di questo che è il primo libro di una collana edita da Marsilio e patrocinata da Palazzo Grassi, Punta della Dogana, Pinault Collection, all'interno del ciclo di conferenze «Lo stato dell'arte». È dunque un testo scritto su commissione, ma con una dignità e un respiro internazionale, tanto che subito dopo la traduzione italiana, in aprile è stato pubblicato anche in lingua inglese sul New Yorker (titolo: The Stuntman).
Nel libretto Cusk alterna un racconto in terza persona sul pittore D e sua moglie a pagine in prima persona, legate a esperienze (apparentemente) autobiografiche. Le parti su D s'incardinano sulla svolta artistica che lo ha portato a dipingere il mondo capovolto, dunque paesaggi o ritratti con alberi, montagne, persone, mobili a testa in giù, svolta nata da un'illuminazione, un giorno in cui D era in visita, in compagnia della moglie, al padre ospitato in una casa di riposo. Le pagine in prima persona sono invece dominate e dirette da un incidente occorso all'io narrante: colpita per strada alla testa senza motivo da una donna, forse malata di mente o tossicodipendente, in una città straniera. L'attacco stana e depotenzia quella che lei chiama la sua «controfigura», una sorta di immaginario alter ego femminile al quale l'io narrante (Rachel Cusk stessa?) faceva ricorso per delegarle rischi, pericoli, maltrattamenti, così da preservare sana e intatta la propria personalità. Mentre cerca di metabolizzare o perlomeno razionalizzare l'incidente, io/Cusk visita e commenta una mostra di Louise Bourgeois, i quadri della pittrice tedesca Paula Modersohn-Becker, e le opere dell'espressionista astratto Norman Lewis. In entrambe le parti l'argomento è evidentemente l'arte, l'artista, la sua opera. Ma qui il meccanismo razionalizzante che dall'esperienza conduce al senso profondo, cioè il meccanismo che Cusk usa d'abitudine, s'inceppa.
C'è una tradizione recente di oscurità negli scritti critici. Provate a leggere il testo del catalogo della mostra di un artista italiano, dagli anni '70 in avanti: talvolta il sovraccarico di dichiarazioni tanto altisonanti quanto astruse (di senso incerto se non inesistente) può rasentare il ridicolo. Certi testi critici sembrano voler essere essi stessi opera d'arte, però con uno stile tutto loro, il barocco astratto. Se i lettori non avessero davanti le riproduzioni delle opere, evincere da quei testi cosa fa l'artista sarebbe un'impresa destinata solo ai solutori più che abili. Già, ma sto parlando di una nicchia nella nicchia: si tratta di una critica che scrive d'arte in modalità militante, cioè sui cataloghi di mostre di cui spesso il medesimo critico è anche curatore; e gli artisti, i cataloghi, i critici che ho in mente sono italiani. Vale lo stesso per gli inglesi? La prossima volta che andrò a Londra farò un giro per gallerie e incetta di cataloghi, e vedremo, ma leggendo Controfigura mi vien voglia di rispondere sì, perché Rachel Cusk sembra imitare proprio quel tipo di critica d'arte: seriosa, criptica, verrebbe da dire genuflessa davanti all'arte cui sembra assegnare un valore e un senso superiore, sacrale, ultraterreno.
Che peccato. Gli scrittori che scrivono d'arte, quei pochissimi, spesso sanno invece ritrarre gli artisti nella loro dimensione umana, desacralizzandoli, raccontando personalità certamente speciali ma rendendole comprensibili, non medianiche o sciamaniche, e sanno raccontare le loro opere con il sapore della narrazione. Gli scrittori fanno cioè quanto gli compete, creando un collegamento primario, diretto, tra opera e lettore, che funziona anche senza riproduzioni a colori. Ci pensavo giorni fa, quando dopo mesi di ricerche sono riuscito a pescare in eBay il catalogo di una vecchia mostra di Giovanni Frangi datata 1992, con un gran bel testo di Luca Doninelli. E ci pensavo in questi giorni, dopo aver letto Controfigura, mentre nel bookshop di uno spazio dedicato all'arte contemporanea scartabellavo libri e cataloghi in cerca di confronti, e mi sono imbattuto in Ontani a Bali, un libro del 2016, edito con la consueta classe da Humboldt Books, dove il viaggio dell'artista nell'isola indonesiana è benissimo raccontato da Emanuele Trevi. Si dirà: ma sono libri introvabili, da cercare con il lanternino. Eppure ci sono anche testi usciti per case editrici major, che sono andati in tutte le librerie e che sono ottimi campioni di questo approccio demisticizzante all'arte: Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler di Massimiliano Parente, Oggetti di bellezza di Steve Martin, Un giorno questo dolore ti sarà utile di Peter Cameron, I cani di Raffaello di Carlo Vanoni, giusto per citarne qualcuno.
Ma in Controfigura Rachel Cusk ha preso la direzione opposta: e se c'entrasse, come spesso è accaduto nelle sue opere, la sua vita coniugale? Dopotutto è sposata con Siemon Scamell-Katz. Pittore astratto, tendente informale.
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