Scuola, la lingua batte dove l’insegnante duole

Mi è stato chiesto di raccontare qualche episodio didattico, ed ecco il primo. Stavamo esaminando una candidata: un mio assistente la torturava chiedendole la cronologia delle opere di Cicerone, e lei balbettava. Volli metterla a suo agio intervenendo con una domanda meno mnemonica, più «ariosa»: le chiesi qual era in Cicerone il rapporto, ovviamente dialettico, tra ingenium (estro nativo) e ars (cultura acquisita, educazione retorica) nella creazione oratoria e letteraria. La ragazza smise anche di balbettare, ammutolì. Preferiva evidentemente la domanda a quiz dell’assistente, si smarriva a una richiesta di ragionare in proprio. Ciò era probabilmente il frutto di un’intera carriera scolastica sbagliata, inaridita da docenti medi e universitari che avevano badato soprattutto a ciò che li riguardava personalmente (i loro studi specialistici o la propria cultura approssimativa) piuttosto che al loro dovere didattico: vi si aggiungano le ore e ore fin da bambini e adolescenti trascorse davanti alle idiozie televisive; poi cresciuti alla droga dei videogiochi.
Si parla spesso, con un’orrenda espressione, di «attualizzare i classici». E alcuni furbetti dell’editoria cercano di facilitarne la lettura con opportuni adescamenti, quale ad esempio la pubblicazione senza testo originale a fronte: sciocco errore. In proposito vorrei ricordare un secondo episodio. Qualche anno fa pubblicai presso un grande editore la traduzione del De Rerum Naturae di Lucrezio, con testo latino a fronte e ampie note di commento. L’editore volle in seguito snellire e facilitare la lettura pubblicandone un’edizione senza testo a fronte e rare note, che però non ebbe successo: se ne vendettero poche copie e fu messa fuori catalogo, mentre della prima edizione «colta» si ebbe una vendita di 30mila copie.
Un’altra questione riguardante non solo i classici, ma l’insegnamento in generale, è la partecipazione di scrittori, poeti, storici, chiamati nelle scuole per promuovere la cultura e i classici. Ben vengano questi interventi di «pronto soccorso» scolastico, ad opera di alcuni volenterosi e benemeriti operatori culturali. Ma il problema vero e drammatico è quello del grande corpo malato della scuola.

La domanda canonica in proposito è questa: è l’attuale corpo docente - malpagato, affaticato, tediato dalla routine e non di rado immesso nei ruoli dopo lunghe attese, agitazioni sindacali, invece che in seguito a severi ma frequenti concorsi abilitanti - capace di inculcare negli studenti il vaccino contro l’ignoranza, l’approssimazione, la furberia, l’opportunismo dilaganti? Ho sempre pensato che la priorità assoluta nell’insegnamento non è quella dei programmi e dei percorsi, ma quella dell’alta qualità dei docenti. E nessun economista è mai riuscito a farmi cambiare idea.

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